Coronavirus. Cina. I Cittadini fanno causa al regime. Reazione ministero Giustizia

Agenpress – La Cina sta subendo pesanti critiche internazionali per la sua pessima gestione dell’epidemia, ma la rabbia e il risentimento stanno crescendo anche all’interno dei suoi stessi confini.

In tutto il Paese, infatti, i cinesi stanno piangendo i propri cari morti a causa del virus, che si è propagato nel Paese grazie al sistematico occultamento delle autorità. I ricercatori stimano che milioni di cinesi siano stati infettati dal virus, e che un numero imprecisato di persone siano morte, molte senza ricevere neanche le più basilari forme di assistenza sanitaria.

Ma anche per i sopravvissuti il futuro rimane incerto: la pandemia ha causato la chiusura di molte aziende e spinto il Paese nel primo anno di contrazione economica dopo decenni. Zhu Min, ex vicedirettore del Fondo Monetario Internazionale, stima che tra gennaio e febbraio l’economia cinese abbia perso a causa del virus circa mille e 300 miliardi di yuan, pari a 168 miliardi di euro.

Un gruppo di persone commemora in silenzio le persone morte a causa del virus del Pcc, in occasione della festa Qingming in memoria degli antenati, Pechino, il 4 aprile 2020. (Thomas Peter/Reuters)

La devastazione causata dal virus del Pcc sta spingendo dunque alcuni coraggiosi cittadini cinesi a intraprendere azioni legali contro il regime.

Portare il regime davanti alla giustizia

Il 6 marzo, una ventina tra avvocati e difensori dei diritti civili provenienti da 9 provincie cinesi hanno unito le forze con alcuni dissidenti cinesi residenti negli Stati Uniti per offrire consulenze legali alle vittime del virus che vorrebbero essere risarcite dal regime cinese.

«La responsabilità è del governo. Ha causato una grande epidemia, moltissimi morti e tutto il resto, ma alla fine sono i comuni cittadini a pagarne le conseguenze», ha dichiarato Li Fang, uno dei membri del gruppo di consulenza, durante un intervista con Epoch Times.

Ad oggi il gruppo ha ricevuto almeno sette richieste. Due cittadini cinesi hanno detto che i loro familiari avevano evidenti infezioni polmonari, ma che non hanno ricevuto alcuna assistenza medica poiché gli ospedali erano pieni. Alla fine, entrambi i familiari sono morti un paio di ore dopo essere entrati in ospedale, e sono stati classificati come casi non confermati.

Un altro dei ricorrenti, che è guarito dalla malattia, deve ancora ricevere il referto diagnostico e perciò non ha potuto ancora presentare la richiesta di risarcimento alla propria assicurazione.

Yi An (pseudonimo), un residente di Wuhan che ha perso i genitori a causa del virus, ha accusato il governo di «omicidio». Navigando tra i post di internet ha letto di moltissime tragedie simili alla sua: «Non ci sono state scuse… neanche una parola di condoglianza». Ora il signor Yu sta riflettendo sulla possibilità di intraprendere un azione legale: «Non è per i soldi. Voglio avere una spiegazione».

«Qualcuno deve essere ritenuto responsabile», sostiene Tan Jun, un impiegato statale che ha intentato una causa presso il tribunale popolare di Yichang, contro il governo provinciale dello Hubei, la regione dove è scoppiata l’epidemia.

Il 52enne, dirigente di un parco della città di Yichang, nello Hubei, è stata la prima persona nota ad aver denunciato in tribunale il Partito Comunista Cinese per la sua pessima gestione del virus. Ha accusato il governo di aver permesso al quartiere Baibuting di Wuhan di svolgere come previsto un grande banchetto al quale hanno preso parte circa 40 mila persone, pochi giorni prima che la città venisse posta in completo isolamento. Verso metà febbraio sono stati moltissimi i residenti di quel quartiere risultati positivi dal virus.

Il signor Tan ha dichiarato che censurando gli avvertimenti diffusi dall’ormai celebre dottor Li Wenliang, e negando che il virus potesse diffondersi da uomo a uomo, le autorità hanno esacerbato i rischi sanitari, con conseguenze disastrose. Inoltre, a causa dei fallimenti del governo dello Hubei, gli abitanti della provincia vengono ora discriminati in tutta la Cina, spesso evitati e a volte persino picchiati.

Nella sua denuncia Tan ha richiesto che il governo dello Hubei chieda scusa pubblicamente sulla prima pagina del quotidiano statale locale, lo Hubei Daily, per le vite perse e per tutte quelle che sono state stravolte.

La reazione del regime

Il regime cinese ha agito rapidamente per reprimere simili atti di sfida.

A poco più di una settimana dalla formazione del gruppo di consulenza legale, il Ministero della Giustizia cinese ha emesso un’ordinanza informale che vieta agli avvocati di «creare problemi» coinvolgendosi in cause legali per richiedere un risarcimento, firmando dichiarazioni congiunte, contattando gli avvocati per i diritti o accettando interviste dai media stranieri. Agli occhi di Li Fang, l’ordinanza è sembrata una diretta reazione agli sforzi intrapresi dal gruppo.

Membri della Polizia Armata del Popolo cinese indossano una maschera protettiva e marciano nei pressi di piazza Tienanmen durante la giornata di lutto nazionale del 4 aprile 2020, Pechino. (Lintao Zhang/Getty Images)

Almeno uno dei ricorrenti ha ritirato la propria azione legale dopo che a lavoro hanno scoperto le sue intenzioni e lo hanno pesantemente criticato per aver commesso un «errore politico».

Yang Zhanqing, un difensore dei diritti umani del gruppo, ha dichiarato che la polizia locale ha recentemente convocato per ben due volte la sua famiglia in Cina per chiedere informazioni sulle sue attività. Inoltre, le autorità hanno chiesto ai suoi familiari di firmare un modulo di ‘non divulgazione’ per fargli promettere di non parlare delle discussioni svoltesi alla stazione di polizia.

Yang ritiene che probabilmente i funzionari faranno tutto il possibile – dall’offerta di piccoli incentivi alle minacce – per scoraggiare tali azioni legali, il che in realtà motiva il gruppo a lottare con maggiore forza per far valere i diritti delle persone. Secondo Yang, il punto è che «una volta depositato, diventa un atto storico, sia che il tribunale lo metta in stato di attesa o lo elabori».

Alla fine il signor Yang ha redatto un atto standard di 14 pagine e lo ha pubblicato online, assieme ad altre istruzioni, affinché le persone possano liberamente usarlo come riferimento.

«Molte persone hanno ricevuto minacce dai governi locali dopo le nostre comunicazioni [con loro, ndr]… così ho pensato che sarebbe meglio se non avessero bisogno di mettersi in contatto con noi. Una vittima dovrebbe sentirsi in diritto di difendere i propri diritti. Loro possono affermare che sia un atto contro la nazione o contro il governo, ma in realtà [i diritti delle persone, ndr] sono garantiti dalla legge».

Il pomeriggio del 13 aprile, poche ore dopo che il signor Tan, l’impiegato del parco di Yichang, ha depositato la sua azione legale, la polizia locale lo ha convocato assieme al suo direttore. Gli hanno chiesto di smettere di pubblicare materiale online per non essere sfruttato dai media stranieri. Dopodiché, anche il suo direttore ha cercato di convincere Tan a dare retta alla polizia, per paura di essere multato.

Nonostante la pressione, Tan ha giurato che andrà fino in fondo: «Le prove che ho raccolto sono tutti documenti governativi. Non ho inventato nulla», ha dichiarato, aggiungendo di aver provveduto a conservare una copia di ogni documento depositato in tribunale.
In realtà, il signor Tan sa bene quanto sia pericoloso contrariare il regime comunista, poiché nel 2008 è stato detenuto per 10 giorni per aver pubblicato un post online che secondo le autorità «diffamava i leader della nazione».

Conoscendo l’opaco apparato legale cinese, che favorisce in primis gli interessi del Partito, Tan ha riconosciuto che la sua causa difficilmente risulterà in una vittoria. Anche per questo ha dichiarato di star prendendo la questione «con leggerezza».

«Hanno sviluppato loro i meccanismi nazionali, e hanno utilizzato ogni risorsa contro i cittadini. Vincere o meno la causa non è così importante per me […] Tanto meglio se posso vincerla, ma in qualsiasi caso non ho nulla da rimproverarmi».

Fonte Epoch Times Italia, 02/05/2020

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