Dante tra Dostoevskij e Sciascia. La bellezza e la verità. Tre anniversari internazionali

AgenPress. Non bisogna mai confondere la bellezza con la verità. Pur vivendo in stanze aperte occorre conoscere ciò che lo spazio possiede perché è ciò che si abita senza ombre. Le ombre sono come le nuvole. Occorre aspettare l’incontro nel quale si sviluppano le eresie della verità stesse. Perché la bellezza può sembrare un dato oggettivo ma non è così, perché sono le eresie che danno la libertà dell’anima. Verrà un giorno in cui non ci sarà più neppure la ricerca della bellezza. Tutto sarà smarrito perché anche la bellezza verrà dimenticata. Dimenticare è aver lasciato morire lentamente il tempo della meraviglia, dello stupore, del mistero. Saremo trafitti dal quotidiano della realtà.

Non ci sorprenderemo più della luce, della notte, del colore. Non ci sorprenderemo più. Semplicemente. I delitti diventeranno castighi e gli idioti prenderanno completamente il sopravvento. Dostoevskij si perderà nei tagli di un bosco e saremo costretti ad abitarlo come Ovidio come Maria Zambrano come Dante che vissero costruendolo nelle parole e nella angoscia. Ma il tempo non finirà. Ci sarà un mezzo tempo che conoscerà soltanto l’oblio. Nella dimenticanza tutto sarà possibile. Come quando sparirono gli dei e Circe e Calipso lasciarono partire Odisseo. Finirà completamente il tempo della bellezza. Troppe volte è stata violentata e nessuna confessione potrà riabilitarla. Agostino e Tolstoj sono soltanto Pensiero. Avrà una tale forza il Pensiero da sconfiggere l’oblio le assenze e il vuoto? Non credo. Resteremo soltanto eredi e profeti.

Una misteriosa visione che si intreccia un visionario cammino che potrebbe portarci oltre. In fondo Dante si trova nel cammino di mezzo perché comprende bene che la morte della bellezza coincide con il trionfo della Ragione. Elemento che Dostoevskij ha afferrato proprio nel momento in cui il suo sottosuolo è cosparso di demoni e che la mitezza porta al suicidio. Dante è come se dialogasse con ciò che dirà Ivan Karamazov. Il Santo inquisitore è lo scontro che vive Dante tra l’esilio e la fede. Per troppa fedeltà viene costretto all’esilio. Per il troppo credere nella libertà. Ivan vive di libertà. Va cercando la libertà.

Dante cerca le stelle per non arrendersi al buio delle voragini. Il tempo della bellezza, in entrambi, diventa il tempo della notte scura oscura. Mai confondere la bellezza con la verità. Sarebbe l’equivoco più terribile nel vivere la metafisica dell’anima. Anima e metafisica sono punti centrali in Dante e Dostoevskij. Sia la bellezza che la verità hanno bisogno del tempo. Il tempo che passa dall’indefinibile alla indissolubilità e tra questi due mondi si crea il labirinto.  Siamo labirinto non ragione. Siamo mistero e non storia. È un tessuto completamente metafisico che si agita tra l’essere ora e l’essere sempre.

Tra il cerchio del mondo e l’orizzonte. Dante guarda l’orizzonte ma è cerchio. Dostoevskij guarda al cerchio come metafora ma è l’orizzonte. Entrambi vivono però la caduta negli inferi ed entrambi vorrebbero rivedere le stelle non solo come rinascita ma soprattutto come bellezza. Se la bellezza salverà il mondo è una icona. Un esoterico sogno per cercare di allontanare la morte. La morte può essere vinta dalla bellezza? Il sublime è poetico ed esoterico.

Dante e Dostoevskij sono questa dimensione in cui l’onirico prende il sopravvento sul fatale e il disegno del destino è cortocircuito esistenziale nel quale prevalgono i personaggi più che coordinate descrittive. Il disordine è un ordine metafisico non empirico. Il gioco dell’imprevedibile è più della forza della ragione stessa. Dostoevskij dirà: “Nel realismo puro non c’è verità”.

A queste indicazioni, nella cultura del secondo Novecento, si contrappone uno scrittore prettamente calata nel quotidiano della ragione come percezione e conoscenza intuitiva. Leonardo Sciascia. Più che Dante, Sciascia ordina le carte con Manzoni. Segue un percorso che va oltre la maschera e lo specchio. Mette in dubbio il dubbio stesso. La “colonia infame” manzoniana è la lettura di una fatalità inevitabile pur nella possibile viabilità della ragione nella storia. Infatti non il mistero ma la ragione.

In Dante e Dostoevskij è il mistero ad aleggiare. In Sciascia è la storia a primeggiare. In tutti e tre però c’è il bisogno di fare della libertà una possibile verità. Nei primi due il legame è tra verità e bellezza. In Sciascia, invece, la verità sta nell’applicare, appunto, la ricerca della conoscenza alla verità. Conoscere è libertà. L’enigma kafkiano serpeggia in Sciascia. L’assurdo di Ionesco ingloba la “Commedia” e Dostoevskij. Ionesco assume il peccato e il castigo.

Sciascia fa del delitto e castigo un processo alla storia violata. Dante, Dostoevskij e Sciascia non assumono la metafora come risposta, bensì come domanda. Forse qui è il legame. O la combinazione delle chiavi che riescono ad aprire il cuore e il pensiero dell’uomo. L’altro aspetto combinatorio è l’assoluto. Mentre in Dante e Dostoevskij c’è la certezza della Fede, in Sciascia insiste la necessità della fede nella ragione. Scrittori e poesia che pongono al centro l’invariabile gioco nell’onirico e della verità. Il senso magico, comunque, non conosce distrazioni. L’esoterico di Dante è una variabile? Non credo. Il mistero in Dostoevskij è la visione delle “notti bianche”. La stregoneria è una antropologia diretta in Sciascia. Sono appunti per (o di) un viaggio della crisi. Da una parte il labirinto e l’orizzonte e dall’altra il caos.  Mai risposte. Sempre domande irrisolte o incompiute. Sono scrittori del pensiero forte. Mai una strigliata di leggerezza.

Sciascia si serve di Manzoni per penetrare il sottosuolo della storia. Dostoevskij vive la bellezza di Raffaello e Shakespeare e Dante si fa sostenere dall’infinito.  Dostoevskij  in “L’idiota” dirà: “Lei è una vera bellezza, Aglàja Ivànovna, una bellezza straordinaria. Lei è così bella che si ha addirittura paura di guardarla. (…) È difficile valutare la bellezza, e io non ci sono preparato. La bellezza è un enigma”. Per Dante la bellezza è ciò che sottolinea in “Vita nova”: “Amore e ‘l cor gentil sono una cosa”. In Sciascia in ”Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia” si legge: “Non che la verità non sia bella: ma a volte fa tanto di quel danno che il tacerla non è colpa ma merito”. Principii e riferimenti per tre personaggi e tre importanti anniversari. Dante Settecento anni dalla morte. Dostoevskij a Duecento anni dalla nascita. Sciascia nel Centenario della nascita.

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