La polveriera del Sahel, tra fame e covid

Una regione stretta nella morsa del fondamentalismo e della crisi idro-alimentare. Un quadro complesso che genera sofferenza, mentre la pandemia rischia di bloccare gli aiuti. Sulla situazione nella Regione,

Interris.it ha intervistato con Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame


Agenpress. Stretta fra due mari, a est e a ovest, così come dalle sabbie del deserto e dagli arbusti della savana a nord e sud, il Sahel rappresenta da sempre un caso a sé stante nel complesso quadro africano. Forse la sua posizione geografica, la sua particolare estensione a mò di fascia, le sue condizioni atmosferiche, o anche per le turbolenze territoriali che ne hanno accompagnato la storia. Né sabbia né savana, varietà di colori comprese fra le sponde di due diverse acque, il Sahel racchiude in sé tutte le contraddizioni geografiche e antropologiche del Continente africano: vittima di siccità e carestie, di insurrezioni e colpi di Stato, di battaglie per l’acqua e violenti scontri etnici, la scudisciata del coronavirus che ha messo in ginocchio l’Europa ha finito per riflettere i suoi nefasti effetti anche su una regione che, già prima dell’emergenza Covid-19, rappresentava una delle più urgenti crisi umanitarie al mondo.

E questo proprio in virtù delle sue caratteristiche, catino di fondamentalismi crescenti e di un deficit idro-alimentare che ha fomentato, negli anni, l’azione dei gruppi jihadisti e scavato divari quasi incolmabili fra le etnie locali. Il tutto, a danno di una popolazione che, vista anche la situazione legata al coronavirus, rischia di sprofondare in un’emergenza alimentare senza precedenti. Interris.it ne ha parlato con Simone Garroni, direttore generale di Azione contro la Fame, che lancia un appello alla Comunità internazionale: “Serve una risposta comune”.

La crisi idro-alimentare in Sahel rappresenta una delle emergenze più impellenti per la comunità internazionale. All’aggravarsi della situazione in una fascia di territorio geograficamente complessa può aver contribuito il turbolento quadro territoriale che, soprattutto negli ultimi anni, ha visto un particolare incremento delle milizie terroristiche?
“La piaga dei cambiamenti climatici e le siccità che si sono succedute, nel corso degli ultimi 15 anni, nella zona hanno, evidentemente, lasciato alla regione ben poco tempo per riprendersi dalle varie crisi. A tali criticità, si aggiunge anche questa grave instabilità sociale e politica, determinata sia alla proliferazione di gruppi armati sia alle violenze tra comunità che, come abbiamo avuto di evidenziare già lo scorso anno, si contendono le risorse naturali, come pascoli e acqua, sempre più scarse nella più classica guerra tra poveri. Lo sanno bene gli operatori di Azione contro la Fame che, ogni giorno, si occupa di chi è senza cibo a causa di una crisi che diventa sempre più dura e lunga”.

La situazione nel Sahel ha determinato le cosiddette “guerre per l’acqua”, combattute soprattutto da gruppi etnici particolarmente in contrasto, quali Fulani e Dogon in Paesi come il Mali. L’emergenza coronavirus potrebbe esasperare ulteriormente questi violenti scontri fra etnie?
“In effetti, qui, piove sul bagnato: a causa delle restrizioni connesse al contenimento del coronavirus, i pastori non saranno in grado di effettuare la transumanza stagionale per via della chiusura dei confini e i sistemi sanitari rischiano di collassare, con una presenza nella regione di 0,5 medici ogni 1.000 abitanti. In particolare, la chiusura delle frontiere, legata alle misure tese al contrasto del coronavirus, non avrà un duro impatto solo sulle economie che dipendono, fortemente, dalle importazioni. Limiterà, infatti, anche i movimenti dei civili che fuggono dalla violenza in aree come il nord del Mali o il bacino del Lago Ciad. Inoltre, tali restrizioni riguarderanno gli spostamenti legati alla pastorizia, uno dei principali settori che garantiscono la sussistenza in queste regioni, incrementando il numero dei pascoli ‘impoveriti’ e generando nuove tensioni tra pastori e agricoltori”.

In un contesto in cui anche l’Europa è costretta a combattere l’emergenza Covid, quali misure potrebbero essere messe in campo per scongiurare un’escalation di crisi (sociale, alimentare, idrica) in una regione così complessa?
“Per Azione contro la Fame, la protezione del personale sanitario e il rafforzamento della capacità dei sistemi sanitari nella diagnosi delle malattie saranno cruciali nelle prossime settimane. L’organizzazione invita anche la Comunità internazionale a una risposta che tenga conto delle conseguenze socioeconomiche legate alle restrizioni messe in atto per contenere la diffusione del virus, con particolare attenzione ai rifugiati e alle donne”.

Come superare le difficoltà delle distribuzioni alimentari dirette, già complicate sul piano logistico, ora che la pandemia costringe a ulteriori restrizioni?”
Per Azione contro la Fame, se i prezzi di mercato saranno inficiati da questa situazione, dovranno essere effettuate distribuzioni alimentari dirette, il che comporterebbe enormi sfide logistiche in un contesto in cui i movimenti di persone sono già limitati. Inoltre, le risposte incentrate sulla mobilitazione della comunità locali saranno fondamentali per contenere la trasmissione. In ogni caso, sarà fondamentale prevedere un intervento di medio-lungo termine, anche in considerazione degli effetti socioeconomici che deriveranno dalla pandemia”.

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