Mollicone (Fdi): “Dov’è finita la potenza di fuoco nel DL liquidità? Solo 20 miliardi altro che 400”

Agenpress. “Dov’è finita la potenza di fuoco sbandierata da Conte e Gualtieri nel dl Liquidità? – afferma il deputato capogruppo in commissione Cultura per FDI, responsabile Cultura e Innovazione del partito, Federico Mollicone, nel corso della discussione generale sul dl Liquidità in corso alla Camera- Possono essere concesse autorizzazioni europee, preparate le carte dal MISE, possono essere iniziate le istruttorie dalla SACE e dal Fondo centrale, ma fino a quando il governo non mette i soldi, e i soldi veri, tutto resta solo un buon proposito.

Nell’ipotesi per cui SACE, in ragione di valutazioni sul proprio portafoglio, utilizzi una leva finanziaria di 20 così che per ogni euro disponibile del Fondo di dotazione, concede garanzie per 20 euro, ben oltre la soglia di rischio, vuol dire che la “potenza di fuoco” messa in campo dallo Stato con questo decreto non è di 400 miliardi, bensì di appena 20 miliardi. I 1.729 milioni aggiuntivi stanziati dal governo dati dal combinato disposto degli articoli 49 del Cura Italia e 13 del Liquidità sono assolutamente inadeguati.

Se la leva sarà 1 a 3, lo stanziamento potrà consentire al Fondo di dare il via libera a circa 350 mila richieste con un valore medio di finanziamento di 15 mila euro, a fronte di una platea superiore di oltre 10 volte.

Qui, mancano le coperture, che necessiterebbero di almeno 30 miliardi, e l’attuazione è ricca di lungaggini burocratiche. Come ha detto Giorgia Meloni, il decreto Liquidità è una grande fregatura, soprattutto per quel tessuto produttivo fatto di piccole e medie imprese che regge l’Italia. Quanti si stanno recando in banca per un finanziamento per vedersi dire che le cifre saranno minori rispetto quelle inserite per norma? E con tempi lunghissimi di erogazione?

Il dl Liquidità è una grande occasione mancata anche per ridefinire il ruolo dello Stato nel mercato e nella globalizzazione.

Abbiamo da sempre denunciato l’attività predatoria della Cina verso le nostre aziende e sulle nostre infrastrutture strategiche, come nel recente caso del porto di Taranto. Il rischio che si passi velocemente dal “made in China” all’ “owned by China” (di proprietà della Cina) è sempre presente e, al netto di chi garantisce l’occupazione di tanti italiani, va esercitata la massima vigilanza. Va bene una ridefinizione della normativa sul golden power per salvaguardare il nostro sistema industriale, ora in grave difficoltà, che rischia di essere “predato” ma deve essere ampliato anche alle PMI innovative.”

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