Omicidio Manduca. Accolto ricorso figli contro lo Stato che richiede 259mila euro

Agenpress –  È stato accolto dalla Cassazione il ricorso dei tre figli di Marianna Manduca – la donna uccisa nel 2002 dal marito Saverio Nolfo, condannato a 21 anni con rito abbreviato.  La donna aveva invano denunciato per 12 volte- contro la sentenza d’appello che aveva negato loro il diritto a 259mila euro di risarcimento per la mancata tutela della loro mamma da parte dello Stato.

L’uomo accoltellò la ex moglie con numerosi fendenti a Palagonia (Catania), il 3 ottobre 2007, sotto gli occhi di diversi passanti e del padre della stessa vittima.

A più riprese Marianna aveva denunciato di essere stata minacciata con il coltello dal marito dal quale si stava separando. Ma la Procura non provvide nemmeno a fare una perquisizione e a sequestrare l’arma dando così almeno un segnale di tutela nei confronti della donna lasciata completamente sola. Secondo i giudici d’appello, “l’omissione addebitabile alla Procura” sarebbe stata “eziologicamente insufficiente” nel determinare la morte di Marianna dato che “la perquisizione e l’eventuale sequestro non avrebbero impedito la morte della giovane mamma” a fronte della determinazione ad ucciderla del marito, già noto per problemi di droga.

Per la Cassazione, questo modo di ragionare è “contraddittorio” e non può essere condiviso.

È la seconda volta che la Cassazione interviene in favore dei figli della vittima, difesi dall’avvocato Alfredo Galasso, ex magistrato antimafia.

Adesso il caso sarà nuovamente esaminato dalla Corte di Appello di Catanzaro designata dalla Cassazione come giudice del rinvio, a seguito dell’annullamento del verdetto emesso dalla Corte di Appello di Messina il 19 marzo 2019.

Con questo verdetto emesso dalla Terza sezione civile in materia di “responsabilità dei magistrati”, i supremi giudici hanno accolto il ricorso di Carmelo Cali’, il cugino di Marianna Manduca, che ha adottato i tre figli rimasti orfani della mamma e che in loro nome si è costituito in giudizio contro la Presidenza del Consiglio dei ministri che aveva ottenuto la revoca dell’indennizzo con una sentenza che aveva suscitato polemiche e indignazione.

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