Omicidio Willy. Pincarelli e Belleggia si difendono. Il primo non ha visto nessun colpo, il secondo accusa Marco Bianchi

AgenPress – “Non ho visto nessun colpo, quando stavo per andarmene mi hanno dato una spinta e sono finito a terra. Accanto a me c’era un ragazzo che però non conoscevo, gli ho dato due pizze all’altezza del cappuccio della felpa. A questo mi riferivo quando venni intercettato, dissi che mi sono rovinato per due pizze”.

Mario Pincarelli, coimputato insieme ai fratelli Bianchi e a Marco Belleggia nel processo per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, non ha dato consenso a rendere esame nell’aula della Corte di Assise del Tribunale di Frosinone ma ha reso dichiarazioni spontanee per chiarire la sua posizione.

“Quella sera ero ubriaco – continua – ricordo di aver visto i fratelli Bianchi andare via, io me ne sono andato con il mio amico, ma mi sono fermato per andare al locale del fratello dei Bianchi, vedendoli lì, per smaltire un po’ l’alcol. Omar era arrabbiato con me. Sentivo Gabriele e Marco dire più volte a Belleggia di prendersi le responsabilità del calcio, lui era preoccupato, io stavo tranquillo”.

“Quando i carabinieri sono arrivati, hanno parlato con Gabriele e Marco, a me nessuno ha detto di andare in caserma quindi sono andato a casa. Poco dopo mi ha telefonato Belleggia – prosegue Pincarelli – mi ha detto di andare. A quel punto ho detto che la responsabilità di un calcio me la sarei presa io, se era per quello che eravamo lì. Io volevo solo andarmene a casa. Non immaginavo assolutamente cosa in realtà fosse successo”. E conclude: “Mi dispiace molto per la famiglia di Willy, nessuno voleva uccidere”.

“Non ho mai colpito Willy. Marco Bianchi lo ha colpito più volte con una scarica di pugni, anche dopo che si era rialzato”, ha detto Francesco Belleggia, imputato nel processo per la morte del 21enne avvenuta nel corso di un pestaggio a Colleferro nel settembre del 2020, davanti alla Corte d’Assise di Frosinone.

“Non ci siamo confrontati dopo i fatti, ma ricordo bene che in macchina Marco disse: ‘comunque, regà, quel ragazzo è andato in coma”. “Ci disse poi di dire che loro non erano scesi proprio dalla macchina, che erano solo venuti a prenderci. Ribattemmo dicendo che non sarebbe stato possibile viste le tante persone che erano quella sera ai giardinetti e li avevano visti.  Allora – continua Belleggia – rispose che ognuno si prendeva la responsabilità di quello che aveva fatto, lui del calcio, noi degli altri colpi. Ma io gli dissi che non era giusto, che noi non avevamo fatto niente. Marco mi disse poi che era meglio se me ne andavo a casa, pure Gabriele mi invitò a fare lo stesso”.

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