Intervista a Luigi Barone (Asi) al quaotidiano online SprayNews.it
Agenpress. «L’Italia deve ripartire. Facciamola ripartire per bene». E’ il messaggio che arriva da Luigi Barone, presidente del Consorzio Asi (Aree di sviluppo industriale) della Provincia di Benevento, nonché consigliere delegato della Ficei (Federazione Italiana Consorzi ed Enti Industrializzazione) per le “Politiche per il Sud. E per avviarsi presto e bene per Barone occorre in primo luogo sburocratizzare il paese, avviluppato ormai da troppi anni in «una giungla di lacci e lacciuoli, che sono piombo sulle ali dell’imprenditoria sana dei nostri territori». E poi ancora «non mettere ostacoli su ostacoli all’accesso al credito, valorizzazione delle aree industriali – e ve ne sono tante e spesso ignorate – del Mezzogiorno».
Barone, lei ha messo sul piatto i grossi nodi che rischiano di strangolare l’economia del nostro Paese. E lo fa da un osservatorio tutto particolare, quale quello delle Aree di sviluppo industriale.
«Le Asi sono degli enti pubblici economici riconosciuti dalla legge dello Stato, deputati alla gestione territoriale degli insediamenti industriali. Il dato importante che dobbiamo evidenziare è che nei territori governati e gestiti dalle Asi insistono, non solo le piccole e medie imprese, nerbo del nostro paese, ma anche le maggiori industrie italiane o che comunque sono inseditate nel nostro paese. Solo per parlarle dell’Asi di Benevento che ho l’onore di guidare abbiamo la Nestlè, la Rummo e Leonardo, che qui ha la divisione elicotteri».
C’è una specificità del Mezzogiorno?
«Guardi, nel Sud ce ne sono di più, perché gli enti hanno origine dalla Cassa del Mezzogiorno. Poi nel 91 con la legge 317 che li ha riconosciuti definitivamente come enti pubblici economici, i consorzi si sono estesi anche ad altre regioni d’Italia, penso al Friuli Venezia Giulia, al Veneto, alla Marche, alla Toscana e all’Umbria».
Ma, in sostanza, cosa fanno i consorzi Asi?
«I consorzi, in qualche misura è come se fossero i comuni delle alle aree industriali e svolgono un ruolo insostituibile come attori e promotori del progresso economico delle aree in cui operano. Siamo, insomma, qualcosa di più di semplici venditori di spazi, più o meno attrezzati, ma mettiamo le nostre competenze al servizio delle imprese e del territorio, nel nome dell’innovatività e dello sviluppo sostenibile. Solo per citarle un aspetto importante del nostro lavoro interveniamo nella progettazione di interventi di riqualificazione urbanistica ed edilizia nelle aree di nostra competenza. E poi forniamo alle imprese un vasto ventaglio di servizi. Ci occupiamo di moltissime cose: dalla viabilità , alla manutenzione stradale, dalla pubblica illuminazione alla depurazione (che è una cosa seria e delicata, un servizio importante che si da alle imprese), alla videosorveglianza e alla sicurezza delle aree».
Le imprese che ricadono nel suo territorio come stanno vivendo questo momento di lockdown?
«In questa fase, dove tutte le attività commerciali sono chiuse, le aree industriali sono per lo più attive. La Nestle e la Rummo, che le ho citato prima, ad esempio, sono aperte e garantiscono agli italiani i genere di prima necessità. Ovviamente la produzione è sottoposta alle norme di sicurezza sanitaria – mascherine, distanziamento sociale e ove possibile smart working – imposte dal governo nei vari decreti. Il punto che ci tengo a sottolineare è però la condizione di particolare fragilità che stanno attraversando in questo momento le piccole e medie imprese. Se i grossi gruppi industriali hanno in qualche misura le spalle grosse, anche rispetto al loro rapporto con il sistema bancario, lo stesso non si può dire per le pmi. E senza una boccata d’ossigeno, senza interventi immediati e concreti, senza una liquidità vera, molte rischiano di non farcela. Noi abbiamo proposto anche al governo di attivarsi pienamente per dare liquidità alle imprese e sopratutto per sfrondare una burocrazia inutile e dannosa. Le dico solo che oggi per il credito d’imposta per le aree Zes, le Zone Economiche Speciali (che si inseriscono nel Piano di sviluppo strategico elaborato in attuazione dell’articolo 4 del d.l. 20 giugno 2017, n. 91 “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno” e che prevedono condizioni favorevoli allo sviluppo del tessuto produttivo in termini doganali, fiscali, finanziari e amministrativi ndr) si parla di una trentina di autorizzazioni. Si rende conto!! Una azienda che vuole aprire una attività non può trovarsi davanti questo muro insormontabile di carte. Dobbiamo allora arrivare ad una semplificazione vera. Dobbiamo dire all’imprenditore che vuole impegnarsi in Italia che massimo in un mese può avere le autorizzazioni per partire. Sulla questione delle Zes abbiamo avuto un incontro al ministro per il Sud Provenzano, perché siamo convinti che anche attraverso le Zes passi lo sviluppo del Mezzogiorno. E devo dire che su questa questione la regione Campania si è attivata prima delle altre».
Barone, lei prima ha fatto riferimento al grosso tema della liquidità. Siamo ancora all’imbuto strozzato nonostante le parole del governo?
«Purtroppo sì, mi dicono di imprenditori che tornano in azienda sconsolati dopo essere stati in banca. Le imprese che intendono riaprire vanno messe nelle condizioni di farlo e le banche davanti alla richiesta di un finanziamento devono attivarsi rapidamente senza opporre obiezioni su obiezioni. Non possiamo andare alle calende greche, i soldi alle imprese servono oggi non fra qualche settimana o fra un mese! L’impegno del governo è lodevole ma non basta, ci vuole di più. E poi occorre una vigilanza sul sistema bancario perché se l’imprenditore viene chiesto l’esame del sangue, se la burocrazia bancaria fa di tutto per scoraggiare chi ingenuamente pensava ad un finanziamento immediato e in automatico non si esce dalla crisi. Mi permetto di sottolineare poi che in Italia è ora di pensare davvero e non solo a chiacchiere ad una banca del Sud. E’ un tema che il governo deve affrontare appena passata l’emergenza coronavirus».
Per venire incontro alle imprese che ricadono sotto l’Asi di Benevento cosa avete pensato di fare?
«Siamo stati la prima Asi in Italia a deliberare, il 1° aprile e fino al 30 settembre, la sospensione dei pagamenti dei servizi collettivi alle aziende insediate nell’agglomerato industriale. Ovviamente i servizi continueranno ad essere espletati a carico del Consorzio. La pubblica illuminazione continuerà a funzionare, le strade saranno comunque manutenute, il verde nei limiti del possibile sarà curato, la sanificazione e disinfestazione sarà fatta, insomma tutte le attività a servizio dell’agglomerato e delle aziende insediate continueranno con l’impegno diretto dell’Asi, Un sostegno è arrivato dalla Regione Campania che per permetterci di continuare a fornire servizi adeguati alle aziende, ha spostato 5 milioni di euro per le Asi».
Barone l’Italia ha strappato in Europa una intesa di massima sul Recovery Fund. Che ne pensa?
«E’ indiscutibile che aver inserito il Recorey Fund nel dibattito europeo è un successo di questo governo. Anche se il problema sarà passare dalle dichiarazioni d’intenti ai fatti. Quello che ho trovato surreale e fuorviante è il dibattito tutto italiano, Mes o non Mes, di queste settimane. Dobbiamo prendere tutto quello che possiamo prendere. Non possiamo rinunciare ad un Mes senza condizioni, anche se quelle risorse, va detto, sono assolutamente insufficienti. Però non è che possiamo passare il tempo a litigare dobbiamo fare fronte comune per portare con forza la voce dell’Italia, di tutta l’Italia, in Europa. Insomma l’Ue deve essere più generosa, ma anche noi abbiamo bisogno di unità di intenti».
Qualche giorno fa Giovanni Bazoli sulle colonne del Corriere della Sera ha sottolineato l’anomalia del rapporto tra debito pubblico e ricchezza privata. 4.374 miliardi di attività finanziarie delle famiglie (contro 926 miliardi di passività), 1.840 miliardi di attività finanziarie delle società non finanziarie; contro 2.409 miliardi di debito pubblico. Che ne pensa?
«Sottoscrivo in pieno le parole di Bazoli. Un grande prestito non forzo, finanziato dai cittadini e garantito dai beni dello Stato, ci permetterebbe di rilanciare davvero il paese. Con meno del 7 per cento della ricchezza finanziaria delle famiglie italiani potremmo dare vita ad un nuovo Rinascimento».
Un’ultima domanda: nei giorni scorsi, complice l’uscita di un’ipotesi di lavoro del Dipe (Dipartimento programmazione economica), si è parlato della sospensione di “quota 34”, ovvero il principio secondo il quale gli investimenti pubblici da destinare al Meridione devono essere proporzionali alla popolazione. Il ministro Provenzano ha preso le distanze da questo documento. Lei che idea si è fatto?
«Come ho già detto se il documento di sintesi e proposte del Dipe non è una fake siamo alla follia. Pensare di rispondere all’emergenza Covid-19 togliendo risorse al Mezzogiorno attraverso il taglio del 34% di investimenti pubblici equivale a condannare a morte il Sud del Paese. E’ bene che Provenzano abbia detto di non sapere nulla del Documento, ma qualche responsabile della stesura dovrà pure esserci».