AgenPress – Un dolore toracico improvviso che si protrae per oltre quindici minuti. È tra le avvisaglie più comuni di un infarto miocardico acuto (IMA), una patologia la cui mortalità, durante la prima ondata Covid-19 è più che triplicata rispetto allo stesso periodo del 2019 (in base a un recente studio della Società Italiana di Cardiologia). Un dato, questo, legato però al momento di grande emergenza che stiamo vivendo e in controtendenza rispetto all’andamento degli ultimi anni. Confrontando le edizioni del Programma Nazionale Esiti di Agenas relative agli anni 2012 e 2018 si osserva, infatti, una significativa riduzione della mortalità media a 30 giorni dal ricovero per IMA scesa dal 9,98% del 2012 all’8,03% del 2018 (Fonte: PNE 2019, con cui è stato recentemente aggiornato il portale di public reporting sanitario www.doveecomemicuro.it). Ma questo non è l’unico aspetto positivo che riguarda l’infarto miocardico acuto, evento patologico che rientra nel gruppo delle cardiopatie ischemiche: prima causa di morte in Italia.
Ricoveri per infarto miocardico acuto: -7,6% in 6 anni
Dal confronto delle due edizioni del Programma Nazionale Esiti emerge anche un significativo calo dei ricoveri per infarto miocardico acuto, passati dai 123.833 del 2012 ai 114.407 del 2018. “Lo scarto è di quasi 10mila degenze con una riduzione del 7,6%, un dato che risalta anche in considerazione del fatto che l’invecchiamento progressivo della popolazione avrebbe potuto comportare un andamento di segno opposto”, spiegano gli autori del PNE 2019. “Questo risultato dipende in gran parte dalle strategie di prevenzione cardiovascolare e dalla consapevolezza sempre più diffusa dell’importanza di avere stili di vita corretti”, dice Marco Di Eusanio, Direttore della Cardiochirurgia dell’AOU Ospedali Riuniti di Ancona. “La riduzione dei ricoveri, in particolare per quanto riguarda gli infarti STEMI, i più urgenti, si deve molto anche all’efficacia dalla prevenzione farmacologica con statine, antiaggreganti e al miglior controllo dell’ipertensione arteriosa”, aggiunge Gian Piero Perna, Direttore del reparto di cardiologia del medesimo ospedale. Le procedure che, se eseguite tempestivamente, sono in grado di limitare gravi danni al cuore in caso d’infarto miocardico acuto sono l’angioplastica coronarica e il bypass aortocoronarico. A queste si ricorre, in presenza di indicazioni, anche in modo elettivo (cioè programmabile) su pazienti stabili.
Interventi di bypass in calo, angioplastica in aumento
Delle procedure di bypass aortocoronarico (isolato), secondo i dati disponibili, nel nostro Paese ci si avvale sempre meno: gli interventi da 14.939 nel 2012 sono infatti scesi a 13.248 nel 2018. “Questa riduzione si deve in parte all’aumento d’interventi di bypass non isolati, cioè eseguiti in combinazione con altri interventi vascolari, e in parte all’incremento delle procedure di angioplastica coronarica per il trattamento della coronaropatia ischemica”, spiegano gli autori del report PNE 2019. “Il bypass aortocoronarico resta comunque uno degli interventi più eseguiti in cardiochirurgia. Rispetto all’angioplastica coronarica, nei pazienti con severa e diffusa coronaropatia, diabete mellito, ridotta funzione contrattile del cuore e in presenza di complicanze come la restenosi intrastent, cioè il riformarsi del restringimento nel punto dove è stato impiantato uno stent, è associato a migliori risultati in termini di sopravvivenza e a un minor rischio di successivi eventi cardiaci e re-interventi”, precisa Marco Di Eusanio.
Riguardo all’angioplastica coronarica si registra, invece, un aumento degli interventi, passati da 112.919 nel 2012 a 123.935 nel 2018 (il dato della Sicilia è stato escluso dal calcolo per poter operare un confronto tra il 2012 e il 2018 visto che il PNE 2019, relativo al 2018, non lo comprende).
“Va detto che durante la prima ondata Covid-19, il ricorso a queste procedure salvavita – angioplastica e bypass – è calato in modo significativo in tutta Italia specialmente nei territori più colpiti, dove la riduzione è stata anche del 40%. A diminuire sono stati soprattutto gli interventi elettivi-programmabili. Inoltre, è aumentato del 39% circa il tempo intercorso tra l’inizio dei sintomi di un IMA e la riapertura della coronaria. Per paura di contrarre il virus tanti cardiopatici hanno ritardato o rinunciato all’accesso in pronto soccorso: i ricoveri per infarto – in base allo studio della SIC – sono infatti diminuiti del 60% circa. La raccomandazione a quanti in questa seconda ondata della pandemia si dovessero trovare in una situazione simile è di contattare immediatamente il 118. Le chiamate per sintomi cardiaci al numero di emergenza, secondo quanto riferisce l’Agenzia Regionale di Sanità Toscana, si sono infatti ridotte progressivamente a partire da fine febbraio 2020”, dice Gian Piero Perna.
STRUTTURE SANITARIE
Più alto è il volume di attività maggiori sono le garanzie per i pazienti
“In base alle evidenze scientifiche, un maggior numero di casi trattati da una struttura sanitaria ha un impatto significativo sull’efficacia degli interventi e sull’esito delle cure. Perciò, il Decreto ministeriale sugli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera (D70) fissa delle soglie minime al di sotto delle quali il rischio di esiti negativi aumenta notevolmente”, spiega Elena Azzolini, medico specialista in Sanità Pubblica e membro del comitato scientifico di www.doveecomemicuro.it.
Sul portale sono disponibili le classifiche dei centri stilate in base al volume di ricoveri per infarto miocardico acuto, al numero d’interventi di angioplastica coronarica e al volume d’interventi di bypass aortocoronarico.
Quali ospedali vantano i volumi più elevati per queste patologie? Quanti sono e come sono distribuiti sul territorio nazionale? In che percentuale sono in linea con le soglie ministeriali? E in che misura gli interventi sono concentrati nei centri che operano nel rispetto degli standard?
I 5 ospedali al top per volume di attività
Al 1° posto per numero di ricoveri per infarto miocardico acuto c’è il Policlinico Sant’Orsola – Malpighi di Bologna seguito, al 2°, dall’Azienda Ospedaliera Mater Domini di Catanzaro, al 3°, dall’Azienda Ospedaliera A. Cardarelli di Napoli, al 4°, dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste – Cattinara – Maggiore – ASU Giuliano Isontina e, al 5°, dall’Azienda Ospedaliera di Padova.
Quanto al volume d’interventi per bypass aortocoronarico si aggiudica il 1° posto il Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma seguito, al 2°, dall’Azienda Ospedaliera OO.RR. San Giovanni di Dio e Ruggi di Salerno, al 3°, dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona – Presidio Umberto I, al 4°, dal Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma e, al 5°, dal Maria Cecilia Hospital di Cotignola – GVM Care & Research.
Al 1° posto per numero di operazioni per numero di interventi di angioplastica coronarica c’è il Centro Cardiologico Monzino di Milano seguito, al 2°, dalla Clinica Mediterranea di Napoli, al 3°, dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze, al 4° dall’Ospedale San Raffaele – Gruppo San Donato di Milano e, al 5°, dalla Casa di Cura Montevergine di Mercogliano (AV).
Numero e distribuzione dei centri in Italia
Nel nostro Paese, gli ospedali pubblici o privati accreditati che nel 2018 effettuano ricoveri per infarto miocardico acuto (tenendo conto solo di quelli che hanno eseguito almeno 10 ricoveri) sono 546: il 53% si trova al nord, il 21% al centro e il 26% al sud. Della totalità dei ricoveri eseguiti il 51,3% è stato effettuato al nord, il 21,5% al centro e il 27,3% al sud.
Le strutture pubbliche o private accreditate che eseguono interventi chirurgici di bypass aortocoronarico (tenendo conto solo di quelle che hanno eseguito almeno 5 operazioni) sono 89 (nel 2012 erano 85): il 49,4% si trova al nord, il 20,2% al centro e il 30,3% al sud. Della totalità degli interventi eseguiti il 48% è stato effettuato al nord, il 19% al centro e il 33% al sud.
Le strutture pubbliche o private accreditate che eseguono interventi chirurgici di angioplastica coronarica (tenendo conto solo di quelle che hanno eseguito almeno 10 interventi) sono 351 (nel 2012 erano 332): il 51% si trova al nord, il 22% al centro e il 27% al sud. Della totalità degli interventi eseguiti il 53% è stato effettuato al nord, il 21% al centro e il 26% al sud.
INFARTO MIOCARDICO ACUTO
Oltre 9 ricoveri su 10 eseguiti nel 61,9% dei centri
Dei 546 ospedali pubblici o privati accreditati che in Italia effettuano almeno 10 ricoveri annui per IMA, 338 (il 61,9%) rispettano il valore minimo di riferimento di 100 ricoveri annui fissato dalle autorità ministeriali per questa patologia: 175 sono situati al nord (51,8%), 70 al centro (20,7%) e 93 al sud (27,5%). (La percentuale, però, si abbassa al 40% se si tiene conto di tutte le 844 strutture che effettuano questo tipo di ricovero). In queste strutture nel 2018 sono stati eseguiti il 91,5% (104.732) dei ricoveri totali (114.405).
Mortalità a 30 giorni e PTCA entro 48 ore: in aumento le strutture che rispettano gli standard
Aumentano le strutture con una mortalità a 30 giorni dal ricovero per IMA uguale o inferiore all’8%, soglia massima fissata dalle autorità ministeriali per questa patologia: da 135 nel 2012 (escludendo il dato relativo alla Sicilia) passano a 196 nel 2018.
Quanto allo standard minimo relativo ai trattati con PTCA (Angioplastica Coronarica Percutanea Transluminale) entro 48 ore dal ricovero, aumentano nettamente le strutture con una percentuale uguale o superiore al 45%: passate da 107 (pari al 29% di quelle che eseguivano almeno 50 ricoveri) nel 2012 a 184 (pari al 51,4% di quelle che eseguono almeno 50 ricoveri) nel 2018.
La proporzione media di trattati con PTCA entro 48 ore dal ricovero, invece, si attesta al 43% nel 2018, contro il 31,5% nel 2012 (escludendo dal calcolo il dato relativo alla Sicilia).
“Una precisazione è d’obbligo: in caso d’infarto miocardico acuto STEMI, l’intervento di angioplastica coronarica dev’essere necessariamente eseguito entro 120 minuti, e non entro 48 ore”, precisa Gian Piero Perna.
Il 17,9% dei centri in linea con tutte e 3 le soglie ministeriali
Le strutture che in Italia rispettano tutti e 3 i valori di riferimento (volume uguale o superiore ai 100 interventi annui, mortalità a 30 giorni dal ricovero uguale o inferiore all’8% e PTCA entro 48 ore dal ricovero uguale o superiore al 45%) sono 98, pari al 17,9% delle strutture che effettuano questo tipo di ricovero.
L’unica regione in cui non è presente nemmeno una struttura in linea con tutte e 3 le soglie di riferimento è la Basilicata (dove viene raggiunto solo lo standard per il volume di 100 ricoveri annui).
BYPASS AORTOCORONARICO
Poco meno della metà degli interventi effettuati nel 27,7% dei centri
Degli 89 ospedali pubblici o privati accreditati che in Italia eseguono almeno 5 interventi annui, 25 (il 27,7%) nel 2018 rispettano il valore minimo di riferimento di 200 interventi annui fissato dalle autorità ministeriali per gli interventi di bypass aortocoronarico: 12 sono situati al nord (48%), 6 al centro (24%) e 7 al sud (28%). (La percentuale, però, si abbassa al 25,2% se si tiene conto di tutte le 99 strutture che eseguono questo intervento). In queste strutture nel 2018 sono stati eseguiti il 45,8% (6.073) dei volumi totali (13.248) contro il 49,2% del 2012.
Calate le strutture che rispettano la soglia di 200 interventi, ma migliorati (rispetto al 2012) i dati sulla mortalità
Rispetto al 2012 sono diminuiti lievemente i centri che rispettano il valore minimo di 200 interventi annui per quanto riguarda il bypass aortocoronarico: da 28 (pari al 32,9%) nel 2012 sono scesi a 25 (pari al 27,7%) nel 2018.
“Preso atto del minore ricorso al bypass rispetto al passato, l’attuale soglia di 200 interventi annui, a mio parere, potrebbe essere abbassata. Un valore minimo di 100-150 non inciderebbe sulla sicurezza”, chiosa Marco di Eusanio.
Un dato positivo è il calo della mortalità media a 30 giorni dall’intervento di bypass: passata dal 2,64% nel 2012 al 2,03% nel 2018.
Sono 35 (pari al 44,3% di quelle che effettuano almeno 50 interventi annui), inoltre, le strutture che nel 2018 vantano una mortalità uguale o inferiore all’1,5% a 30 giorni dall’intervento contro le 30 del 2012 (pari al 36,1% delle strutture che eseguivano almeno 50 interventi annui). Delle 35 con una bassa mortalità: 18 sono situate al Nord (51,4%), 6 al centro (17,1%) e 11 al sud (31,4%).
“Tenendo conto del minore ricorso al bypass aortocoronarico e dei pazienti tendenzialmente più complessi, ci si aspetterebbe un incremento della mortalità a 30 giorni dall’intervento, e non una riduzione. Il calo della mortalità tra il 2012 e il 2018 e l’aumento delle strutture che operano nel rispetto di questa soglia sono la dimostrazione dei progressi fatti in cardiochirurgia nel nostro Paese negli ultimi anni”, commenta Marco Di Eusanio.
Il 16,9% dei centri in linea con entrambe le soglie ministeriali
Le strutture che rispettano i 2 valori di riferimento (volume annuo uguale o superiore a 200 interventi annui e mortalità a 30 giorni uguale o inferiore all’1,5%) sono 15, pari al 16,9% delle strutture che effettuano questo tipo d’intervento.
Nelle regioni Basilicata, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Trentino Alto Adige e Umbria non sono presenti strutture in linea con entrambe le soglie di riferimento. In Valle D’Aosta, invece, nessun centro esegue questo intervento.
ANGIOPLASTICA CORONARICA
Quasi 9 interventi su 10 concentrati nel 58,8% dei centri
Dei 351 ospedali pubblici o privati accreditati che in Italia effettuano almeno 10 interventi annui, 206 (il 58,8%) rispettano il valore minimo di riferimento di 250 interventi annui fissato dalle autorità ministeriali per l’angioplastica coronarica: 110 sono situati al nord (53,4%), 42 al centro (20,4%) e 54 al sud (26,2%). (La percentuale, però, si abbassa al 49,2% se si tiene conto di tutte le 418 strutture che eseguono questo intervento). In queste strutture nel 2018 sono stati eseguiti l’88,4% (109.609) degli interventi totali (123.935) contro l’86,5% del 2012.
In crescita le strutture in linea con la soglia ministeriale
I centri in linea con lo standard minimo di 250 interventi annui per l’angioplastica coronarica in 6 anni sono aumentati: da 183 (pari al 55,1%) nel 2012 sono passati a 206 (pari al 58,8%) nel 2018.