AgenPress. “La decisione del Comitato etico delle Marche in ordine all’appropriatezza dell’uso del Tiopentone per il ‘suicidio medicalmente assistito’ chiesto da Mario, un uomo di 43 anni affetto da tetraplegia in seguito ad un incidente stradale, è una pagina nera, tristissima della medicina e dell’assistenza sanitaria”.
Lo dichiara don Roberto Colombo, già docente della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, membro della Pontificia Accademia per la Vita, e consultore del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.
“Il Pentothal è un farmaco della classe dei barbiturici che è stato prodotto per curare i pazienti attraverso gli interventi chirurgici sotto anestesia generale e per proteggere l’encefalo da danni dovuti a carenza di ossigeno e di nutrienti, riducendo al minimo l’attività cerebrale”, osserva l’esperto.
Qui la denuncia: “Che un farmaco usato per curare diventi, ad un dosaggio non terapeutico, elevatissimo, uno strumento molecolare per far morire, dice di un cambio di scopo, di significato dell’atto medico: alla medicina viene chiesto non di prendersi cura di un malato – sia pure in condizioni cliniche estremamente gravi e irreversibili – ma di collaborare alla sua morte. È un inaccettabile uso strumentale della medicina, che da arte e scienza del curare la sofferenza viene piegata a divenire tecnica del far morire senza sofferenza”.
Soffermandosi sul cosiddetto “suicidio medicalmente assistito”, don Colombo spiega che “non è in azione solo la libertà e la responsabilità del paziente, ma anche quella del medico, del giudice e del legislatore”. “Il solo fatto di avere individuato un farmaco che risulta letale a dosi elevate e idoneo a provocare la morte rapidamente e senza dolore non implica che questa molecola debba essere utilizzata ogni volta che un malato domanda di porre fine ai suoi giorni”.