AgenPress. Parto da un presupposto di riferimento. La storia si fa con i documenti e non perché mi è stato tramandato oralmente, ma perché è la scientificità che crea modelli di certezza storiografica. San Lorenzo era stato un centro con presenza greca e romana anche se il termine (o l’etimologia del casale) di Castrum Laurentum ha una netta derivazione romana (“antonina” da Antonino Pio), il cui feudo intorno al 1200 assume il nome di Sancti Laurenti. Un territorio che ha subito non solo conflitti di natura bellica (a cominciare dalla temperie romana) ma è stato anche afflitto da devastazioni telluriche). Il terremoto allontanò le popolazioni dai territori che erano stati colpiti in modo grave.
Infatti, tra il 1453 e il 1456 si verificò una situazione di spopolamento non solo del paese in questione ma di quasi tutto il territorio. Ci furono ripetuti terremoti in tutta la Calabria proprio tra il 1446 e il 1456. Quelli più disastrosi si verificarono il 1451, il 1453 e il 1456. Il casale di San Lorenzo venne completamente spopolato come altri casali viciniori. In tali circostanze, in relazione alla fuga degli Albanesi dallo loro terra oppressa e occupata dall’invasore turco e dopo l’immediata morte dell’eroe Giorgio Castriota Skanderbeg [1], in questi territori trovarono ospitalità proprio i profughi albanesi, i quali vi crearono delle vere e proprie comunità portandovi il loro rito, la loro tradizione, la loro storia.
Furono i feudatari locali ad ospitare gli Albanesi. Il Regno di Napoli accolse tra il 1469 e il 1481 queste ondate migratorie che provenivano dalla vicina Albania. A San Lorenzo del Vallo si formò uno dei nuclei più consistenti. San Lorenzo, che conservava ancora nella sua tradizione dei luoghi e dei nomi comuni alla cultura greca, divenne una comunità, a tutti gli effetti, albanese. Gli Albanesi vi si stanziarono intorno al 1479 ripopolando così il casale e rimasero a San Lorenzo sino al 1517. Dal 1517 in poi gli Albanesi cominciarono a dividersi distribuendosi nel contesto territoriale formando le comunità esistenti tuttora.
Crearono il loro agglomerato abitativo nella zona Sud del casale e qui circoscrissero un’area da adibire a cimitero. La zona interessata era intorno ai quattro punti di Via dei Greci, di Via Apollo, di Via Fischia e di Via Pipana. Le due ultime vie corrispondono, tra l’altro, a due sorgenti d’acqua. Quattro punti, lo si nota molto bene, che hanno una derivazione etimologica greca. D’altronde il termine Fischia è derivato dal greco Physca e richiama una città della Macedonia mentre il termine Pipana viene dal verbo pepino che equivale, in greco, a “far cuocere”.
San Lorenzo fu uno di quei paesi ripopolato dagli Albanesi. Gli Albanesi, giunti in Italia o meglio nell’allora Regno di Napoli non solo fondarono nuovi ceppi comunitari ma, (in molte occasioni dovute a situazioni di immigrazione – emigrazione e a circostanze storiche e geografiche) si trovarono nella situazione di ripopolare casali e centri che avevano rappresentato già dei riferimenti territoriali nelle epoche precedenti. Il caso, appunto, di San Lorenzo del Vallo. Identità illiriche vivono sul tessuto non solo storico ma antropologico di San Lorenzo del Vallo.
Un tessuto che ha assorbito diverse culture. Gli Albanesi si portarono dietro una profonda religiosità. San Lorenzo in quel tempo era già sede del Convento dei Frati Riformati e questo fu una garanzia anche culturale per gli Albanesi che credevano fortemente ai valori della Chiesa. È proprio in quell’area geografica (nei pressi dove sorgeva il Convento) che gli Albanesi si stanziarono. Indubbiamente, i feudi ecclesiastici rappresentavano per gli Albanesi un punto di riferimento.
San Lorenzo con la presenza degli Albanesi ebbe il rito greco. E lo mantenne sino al 1610. Fino a questa data il rito greco veniva praticato per alcune famiglie albanesi in San Lorenzo e veniva celebrata una messa dal sacerdote Nicola Nemojanni che proveniva da Spezzano Albanese. Dopo la chiesa dedicata a San Nicola, San Lorenzo ebbe la Chiesa di S. Maria delle Grazie, sita nelle strette vicinanze del Castello, di rito latino dovuta alla venuta del Beato Umile. Comunque, il rito greco, in San Lorenzo, non ebbe ripercussioni e dopo il 1610 il discorso si chiuse.
Uno spaccato storico di notevole importanza sia sul piano di una geografia fisica sia nell’articolato antropologico.
Intorno a questi anni San Lorenzo raggiunse una popolazione complessiva di 2000 abitanti. I nuclei familiari ammantavano a 362. Mentre nel 1543 San Lorenzo, secondo il Regio Numeratore, era una delle comunità albanesi più popolata nonostante l’avanzata emigrazione. I nuclei familiari erano, comunque, passati a 71. Nel censimento del 1543 sono già presenti le colonie albanesi distribuite nel territorio, manca però Spezzano Albanese, la quale avrà i natali negli anni successivi.
C’è da sottolineare che tra il 1479 e il 1521 (anno che segna la vera emigrazione degli Albanesi da San Lorenzo) venne eretta – non si hanno, comunque, notizie storiche certe – nel casale, una chiesa in nome di San Nicola. Un Santo che ha derivazioni che provengono dalla Penisola dei Balcani. In tale contesto nasce anche la nobiltà dei Gaudinieri, (proveniente da Acri dove tuttora esiste il Palazzo Gaudinieri oltre che a Spezzano Albanese) e dei Guaglianone prima.
Il 1521 è, dunque, l’anno decisivo per il lento abbandono degli Albanesi dal casale di San Lorenzo. Ma la vera emigrazione (che fu un trasferimento) si ebbe intorno al 1564.
Cosa avvenne in realtà? Nel 1532 Carlo V, dopo la caduta feudale della famiglia Caraffa alla quale era intestato il feudo di San Lorenzo, offrì l’investitura a Ferrante Alarcon della Valle Siciliana. Isabella, che era la figlia di Ferrante Alarcon, sposò Pietro Gonzales de Mendoza. Il primo figlio, frutto di questo matrimonio, morì prematuramente. Il secondogenito prese il nome , per salvare l’investitura, dello scomparso, ovvero: Pietro Antonio Alarcon della Valle Mendoza con l’aggiunta di Ferrante. Da qui il casato Alarcon della Valle Mendoza e la relativa aggiunta a San Lorenzo del termine della Valle e poi del Vallo. L’Alarcon puntò a popolare il suo feudo in Lucania imponendo agli Albanesi di San Lorenzo di trasferirsi a Palazzo San Gervasio.
Gli Albanesi, rimasti ancora a San Lorenzo, non accettarono questa impostazione. Infatti, non si allontanarono, disubbidendo così all’ordine dell’Alarcon. Si trasferirono, invece, nei pressi dell’attuale Santuario della Madonna delle Grazie in Spezzano Albanese, allora territorio di Terranova da Sibari. Questa comunità albanese sorse, chiaramente, successivamente a queste vicende, ovvero dopo il 1564. Comunque, non tutti i nuclei familiari lasciarono San Lorenzo. Alcuni nuclei rimasero e costituirono la nobiltà del paese.
Allontanati, gli Albanesi, nonostante la presenza di alcune famiglie i cui cognomi sono ancora presenti, San Lorenzo conobbe una fase difficile e nuovamente si popolò, tanto che nel 1571 contava appena 50 nuclei familiari e si creò una situazione di grande precarietà che durò nel corso degli anni. Il rito, la tradizione e la lingua degli Albanesi furono completamente abbandonati ma resta nell’immaginario di una popolazione e di una civiltà il senso delle radici e di una matrice che non facilmente può essere dimenticata.
San Lorenzo del Vallo fu un paese ripopolato dagli Albanesi e furono proprio gli Albanesi a dare al paese stesso una nuova anima e un nuovo assetto comunitario, in un contesto storico che segnò tutta la realtà geografica e culturale del Meridione.
Questa anima albanese è una testimonianza che resta come un tracciato indelebile nella coscienza di un paese e nella spiritualità di una popolazione.
L’eredità albanese che ebbe segni tangibili sino al XVII secolo è un processo nel quale l’intreccio tra identità, storia, appartenenza e territorio costituisce una chiave di lettura fondamentale.
San Lorenzo è stata albanese: una di quelle comunità vitali, le cui impronte non sono solo un fatto etico ma anche profondamente culturale.
Ed è qui che il legame tra territorio e “abitato” ha una sua specularità storica, che ben sa guardare e ascoltare gli elementi di una antropologia del vissuto.
Pierfranco Bruni