AgenPress. Bob Dylan, Premio Nobel per la letteratura 2016, è un tramite tra il linguaggio poetico e quello musicale su un pentagramma che regge il vocabolario delle parole e delle note.
Con Bob Dylan si entra nella cultura popolare che ha fatto della musica una forma di linguaggio nel quale si vivono non solo le sensazioni ma anche le forme di un processo che è strettamente letterario e linguistico. Si riconosce il testo di una canzone di Dylan come vera e propria dimensione letteraria. La canzone d’autore non è mai stato un prodotto diverso rispetto alla poesia.
Questo vale per Dylan ma vale, come più volte ho scritto nei miei libri sui cantautori italiani, per De André, per Califano, per Conte, per Battiato, per Tenco, per Baetz, per Noah, per Franco Simone, per Mia Martini. Il testo musicato è un testo poetico.
Un dibattito che ho sempre seguito e sul quale ho speso molto lavoro. Chiaramente, Dylan, dagli anni Sessanta in poi, ha contrastato le istanze sommerse dei linguaggi tradizionali ed ha creato la parola rarefatta come nel mondo simbolista francese o ermetico italiano e latino americano. Perché nel testo di Dylan ci sono gli intrecci tra contenuto e forma, tra immaginario e regia della parola.
Le parole portate dal vento e il vento che si fa parola. Una visione delle metafore corte. Ma a Dylan, molti della mia generazione, devono gran parte della propria formazione. Magari un Dylan non diretto e filtrato dai testi dei cantautori italiani.
Lessi Dylan e Baetz prima di ascoltarli nei testi della Newton. Brassens o Brel sono dentro quel viaggio che parte dal canto di “Gracias de la vida” sino al tempo che viaggia nello spazio della spiritualità di Dylan. Un punto di riferimento tra cultura musicale angloamericana e comparazione con il popolare europeo e mediterraneo. Tra gli intagli di una tavolozza pentogrammatica la cifra di una nota è cifra della parola.
Innovatore. Maestro e corruttore positivo dei linguaggi in cravatta e gilè. Poi autorevolmente si riconosce alla canzone il ruolo di essere patrimonio della creatività. Ma c’e’ di più. La poesia che oggi è in travaglio nasce non più dalla retorica bensì dall’inquietudine del rinnovamento.
Dylan, in fondo, regala spiritualità intrecciata nell’antropologia dei linguaggi con una dimensione sempre innovativa. Non sperimentalista tout court, ma nelle avanguardie che danno un senso. La canzone, dunque, come espressività letteraria e il linguaggio musicale come modello emozionale. I suoi testi lo dimostrano ampiamente. Io l’ho sempre percepito così. Una maestria che penetra un sostrato che una profondità antropologica dalla quale la canzone moderna non può non confrontarsi.
Pierfranco Bruni