Sono venuto a conoscenza di attività investigative estremamente invasive, quali l’uso del trojan nei miei confronti, di Guido Ruotolo e di Ugo Colonna
AgenPress. Caro Presidente, spero che non trovi inopportuna questa mia lettera; sono costretto a rivolgermi a Lei per denunciare una grave ferita inferta non soltanto alla mia persona e a quella di altri in contatto con me ma a principi costituzionali fondamentali come la libertà di opinione, di movimento e il diritto alla difesa di ciascun cittadino. Ciò avviene nell’indifferenza generale delle istituzioni di controllo, delle maggiori fonti di informazione, della Federazione della Stampa e dell’Ordine dei Giornalisti e, di conseguenza, dell’opinione pubblica.
Lo scorso 9 luglio ho dovuto apprendere dal quotidiano “La Sicilia” la notizia del deposito da parte dei Pubblici Ministeri di Caltanissetta della richiesta di archiviazione nei confronti del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, di Aldo Ercolano, vice di Nitto Santapaola a capo del clan catanese appartenente a Cosa Nostra, e di altri mafiosi di livello dello stesso clan, iscritti per il reato di strage per gli eccidi del 1992 di Capaci e via d’Amelio.
L’indagine era stata aperta a seguito delle clamorose dichiarazioni di Avola, protagonista del libro da me scritto con Guido Ruotolo “Nient’altro che la Verità”, con le quali il collaboratore di giustizia raccontava la sua vita e per la prima volta descriveva la composizione del commando e le esatte modalità di esecuzione dell’attentato in cui hanno perso la vita Borsellino e la sua scorta.
Secondo il quotidiano catanese non solo i PM ritenevano priva di riscontri attendibili l’inedita narrazione della strage ma avevano acquisito prove inoppugnabili della sua falsità. Perciò la Procura, considerando dimostrata la malafede di Avola, ipotizzava il reato di calunnia nei riguardi dei mafiosi del gruppo Santapaola.
La notizia della richiesta d’archiviazione era in quel momento coperta da segreto e veniva diffusa senza che gli interessati, e in primo luogo il difensore di Maurizio Avola, ne ricevessero formale avviso.
Prima ancora che “Nient’altro che la verità” venisse distribuito nelle librerie, la stessa Procura, a maggio del 2021, a indagini ancora aperte, in maniera del tutto irrituale e certamente non conforme ai principi codificati, aveva emesso un comunicato che si spingeva a ipotizzare un depistaggio a cui il collaboratore di giustizia aveva partecipato con la complicità dei giornalisti e dell’avvocato difensore. Sta di fatto che un boss di prima grandezza come Aldo Ercolano, condannato all’ergastolo ostativo, pensò bene di usare le valutazioni della Procura per denunciare me e Maurizio Avola per calunnia, contestazione che i Pubblici Ministeri hanno incredibilmente esteso al suo difensore, l’avvocato Ugo Colonna.
Ricordo solo di sfuggita, non avendo mai né ottenuto né richiesto scorte o servizi di protezione, che il mio nome, alla vigilia delle stragi, era nell’elenco dei condannati a morte di Cosa Nostra del quale facevano parte anche Borsellino e Falcone. Ma ciò non ha comportato alcuna prudenza da parte di questi “alfieri dell’antimafia”. In più, con la richiesta di archiviazione, nel fascicolo giudiziario a disposizione delle parti sono state disinvoltamente inserite notizie di contributi a inchieste in corso e immagini recenti di Maurizio Avola, oltre che informazioni dettagliate sul luogo e la città dove attualmente lavora e vive senza alcuna protezione.
La prima ragione per cui ho deciso di scriverLe è che è stata messa a repentaglio la nostra incolumità. Se dovesse capitare qualcosa a ciascuno di noi, ai nostri familiari e, in particolare, a un collaboratore di giustizia che si è rivelato fondamentale per smantellare i la “famiglia” Santapaola-Ercolano, tutti è bene che sappiano a chi se ne devono attribuire le responsabilità e quali sono le istituzioni che si sono mosse per impedire che ciò accadesse.
Negli atti d’indagine, finalmente a mia disposizione, sono venuto a conoscenza di attività investigative estremamente invasive, quali l’uso del trojan nei miei confronti, di Guido Ruotolo e di Ugo Colonna; ma non c’è traccia alcuna del minimo indizio del reato di depistaggio e non esiste una prova definitiva della mendacità del collaboratore. Si ricava la sensazione che tutto sia stato generato per confermare un teorema, costruito sulle dichiarazioni (strumentalizzate) di Spatuzza, in merito alla presenza di una persona a lui sconosciuta, che aveva appena intravista, nel garage dove è stata preparata l’autobomba fatta esplodere a via D’Amelio. Per gli inquirenti, che non hanno acquisito alcuna prova in merito a questa circostanza, doveva per forza trattarsi di un esponente dei Servizi Segreti. Esattamente ciò che Maurizio Avola, pur confermando le dichiarazioni di Spatuzza e accusandosi di aver confezionato l’autobomba e partecipato alla strage, nega.
Una settimana dopo che è apparsa sui giornali la notizia della richiesta di archiviazione, dopo aver esaminato per mesi il fascicolo giudiziario, il Gup di Caltanissetta ha deciso di non accoglierla e ha fissato una udienza ad ottobre per approfondire.
Nello scrivere il libro noi avevamo l’obbligo di consultare le fonti disponibili. Non abbiamo trovato smentite nel racconto dei testimoni ma conferme riguardo al tipo di esplosivo adoperato e al cratere, esattamente corrispondente alla descrizione per molti versi inedita di come era stato distribuito nell’auto. Tutte cose apparse insignificanti agli inquirenti che certamente, usando mezzi fuori dalla portata di cronisti, hanno invece rilevato nel racconto di Avola contraddizioni e incertezze, delle quali egli ha comunque fornito spiegazioni.
Forse si potevano acquisire le dichiarazioni del collaboratore e aspettare che da successivi accertamenti su via D’Amelio emergessero elementi per esprimere un giudizio definitivo. Invece sembra che le indagini siano state svolte per confermare ad ogni costo il teorema di “entità esterne” a Cosa Nostra, di uomini dello Stato che non solo hanno commissionato la strage ma sono anche stati fisicamente presenti nelle fasi esecutive. Via D’Amelio, come teorizzato dal Senatore Scarpinato, sarebbe una “Strage di Stato” in continuità con Piazza Fontana. Una ipotesi accettabile in un romanzo e in una ricostruzione storica problematica che, però, un magistrato non dovrebbe formulare, in mancanza di prove. A tacer del fatto che Salvatore Riina l’avrebbe volentieri condivisa.
Chi non accetta il teorema e prova a mettere insieme fatti accertati o a portare nuovi elementi per le indagini diventa un nemico di cui è lecito calpestare tutele personali e diritti.
Dagli atti che sono ora stati depositati e a disposizioni delle parti, emerge che gli inquirenti si sono mossi nei riguardi di Avola, del suo difensore e di noi giornalisti, partendo da un libro considerato notizia di reato con una grave intrusione nella libertà d’espressione e nel diritto di cronaca.
Essendo venuti a conoscenza dei fatti con Guido Ruotolo, come dettagliatamente racconto in “Nient’altro che la verità”, abbiamo insieme esortato Maurizio Avola a rivolgersi con fiducia all’Autorità Giudiziaria e, dopo che lo ha fatto, abbiamo aspettato mesi per la pubblicazione per non ostacolare l’azione di accertamento dei magistrati. I quali oggi danno l’impressione di pretendere che prima di dare alle stampe il libro lo sottoponessimo alla loro approvazione.
Gli inquirenti avevano mostrato prima della distribuzione di “Nient’altro che la verità” nelle librerie di essere in possesso di tali elementi di prova da poter arrestare o mandare a giudizio Avola e i suoi complici. Invece ci sono voluti più di un anno dal loro comunicato stampa e ben due anni e mezzo di indagini per formulare una richiesta di archiviazione, che il giudice ha per altro respinta convocando un’udienza per approfondire.
La loro attività si è svolta nel rispetto della legge? Come ho già detto, numerose investigazioni hanno riguardato sia Colonna, difensore storico di Avola sin dal momento in cui nel 1994 ha reso le prime dichiarazioni ed è poi divenuto collaboratore di giustizia, con attendibilità attestata in numerose sentenze, sia me stesso e Guido Ruotolo.
Non si tratta qui di valutare la fondatezza delle accuse rivolte da Avola circa il ruolo di esponenti di Cosa Nostra catanesi (e di lui stesso) nelle stragi, giudizio che abbiamo sempre affidato alla magistratura. Si tratta di denunciare le numerose anomalie nell’operato della pubblica accusa per individuare violazioni anche punibili con provvedimenti disciplinari da chi di competenza.
In seguito alla querela per diffamazione e calunnia di Aldo Ercolano, pluriergastolano, come lo zio Nitto Santapaola, capo di Cosa Nostra catanese, i magistrati dell’Ufficio di Procura nissena hanno provveduto ad iscrivermi nel registro degli indagati quale autore di “Nient’altro che la verità”; mentre Guido Ruotolo, che ha collaborato al libro, non era stato iscritto. Contemporaneamente, sebbene il libro fosse stato dato alle stampe a Venezia, nel luogo ove ha sede la casa editrice, hanno trattenuto il procedimento di diffamazione, in quanto collegato a quello principale delle stragi.
Ero già quindi iscritto da Caltanissetta nel registro degli indagati e Guido Ruotolo era indagabile quando, il 4 febbraio 2022, i magistrati della Procura hanno disposto la nostra audizione in simultanea quali testimoni, con l’obbligo di dire la verità. Stante il contenuto dell’atto di querela dovevamo, invece, essere ascoltati quali indagati di reato collegato e con le garanzie proprie a tutela del diritto di difesa, ovvero con gli avvisi di legge e l’assistenza di un difensore. Al magistrato del Pubblico Ministero non è consentito di ignorare l’iscrizione nella notizia di reato, o di non disporne alcuna nei confronti di Guido Ruotolo, allo scopo di esaminarli come testimoni con l’obbligo di dire la verità.
Nonostante io avessi il mio ufficio in via Giulia, a pochi passi dalla Direzione Nazionale Antimafia, abitualmente frequentata dagli inquirenti, e soprattutto essendo Guido Ruotolo ammalato di tumore, non ci è stato concesso di deporre a Roma. Non abbiamo tuttavia chiesto rinvii e ci siamo presentati, sottoponendoci a una faticosa trasferta, per mostrare il nostro spirito di totale collaborazione.
Apprendo oggi che, pur avendo noi fornito tutti gli elementi che provavano la nostra assoluta buonafede, sono stati disposti numerosissimi servizi di osservazione, controllo e pedinamento sia a carico di noi giornalisti, sia dell’avv. Colonna, nonché intercettazioni telefoniche ed intercettazioni ambientali con l’utilizzo del noto e famigerato trojan.
Purtroppo per i magistrati, il trattamento da criminali a cui siamo stati sottoposti, la registrazione dei colloqui, gli appostamenti agli incontri, la nostra vita passata a setaccio, non hanno fatto altro che dimostrare positivamente la buona fede di tutti noi, avvocato compreso, nel ritenere affidabili o comunque meritevoli di approfondimento investigativo le parole di Avola.
A proposito del quale tengo a esprimere il mio apprezzamento per il gesto di sottoscrivere prima della pubblicazione una liberatoria totale e a titolo gratuito per qualunque diritto potesse scaturire dal libro. Nonostante avessi esibito questa ricevuta e anche se le indagini non hanno trovato traccia di pagamenti, i giornali, opportunamente istradati, hanno continuato a scrivere che avrei pagato Avola solo perché gli avevo versato circa mille euro, con regolari ricevute, come rimborso spese per i suoi spostamenti e disagi.
In sintesi estrema, ricostruendo come reato la pubblicazione di un libro, prendendo spunto dalla querela di un boss della mafia, sono stato spiato nella mia attività professionale, nel rapporto con le mie fonti e nella vita privata, perfino quando ero a colloquio con il mio difensore, l’ avvocato Lorenzo Borré. Quanto ai complici con cui avrei agito per architettare le false accuse ed il depistaggio non sono stati trovati. Semplicemente perché non esistevano. Nessun incontro con elementi estranei è stato annotato e registrato, nessun suggeritore, nessun componente di fantomatiche stazioni di Servizi Segreti, ma solo interlocuzioni con soggetti anche delle istituzioni onde verificare giornalisticamente il racconto di Avola.
Dalla penetrante attività di investigazione è emersa la correttezza mia e di Guido Ruotolo, di quanto ci siamo mossi per accertare la veridicità delle dichiarazioni di Maurizio Avola. Perfino rivolgendoci con il suo consenso a una grande agenzia internazionale specializzata nell’utilizzo della macchina della verità per ben due volte senza raggiungere certezze definitive ma con molte più conferme che smentite.
I pubblici ministeri nella richiesta di archiviazione, probabilmente, non avendo fatti da produrre, si sono trasformati inopinatamente in censori, tacciando me e Guido Ruotolo di scarsa professionalità, penso non avendo letto il libro per intero, con la motivazione di aver riportato le dichiarazioni di Avola senza un vaglio critico.
Mi chiedo se pronunciare giudizi gratuiti rientri nella funzione dei magistrati o se queste affermazioni perentorie finiscano per rappresentare un limite alla libertà di espressione. Un giornalista, nel pubblicare una notizia, deve limitarsi a controllare se quest’ultima sia vera. Nel nostro caso se Avola, come è puntualmente avvenuto, avesse riferito quelle accuse all’Autorità giudiziaria, se il collaboratore fosse stato ritenuto credibile in precedenza e non condannato per calunnia (come mai è stato), se il suo racconto fosse in sé credibile. Accertare che i reati siano effettivamente avvenuti spetta, invece, esclusivamente all’Autorità Giudiziaria che dispone di appropriate forme di verifica e controllo.
Caro Presidente, so quanto lei tenga alla libertà d’informazione, e ho voluto mettere queste valutazioni per iscritto perché trovo assordante il silenzio della Federazione della Stampa, dell’Ordine dei giornalisti e della stragrande maggioranza di quotidiani e televisioni. Un silenzio che rappresenta un alibi per l’inerzia delle istituzioni di controllo e che con questa lettera ho voluto denunciare. Nel nostro Paese chi si muove al di fuori dei partiti, delle lobby, delle conventicole di vario genere e tipo, di cui anche la cosiddetta “antimafia” è purtroppo divenuta una variante, è sempre un isolato esposto a pericoli. Ma questa considerazione non mi ha mai impedito di continuare a credere nei principi che sono alla base della nostra Costituzione e a battermi perché vengano attuati. Se poi un giorno dovesse venir fuori una qualche conferma del racconto di Maurizio Avola c’è chi dovrà provare un senso di vergogna profonda. Questa lettera è un documento che, tramite Lei, consegno al futuro.
La ringrazio per l’attenzione e le invio i miei più cordiali saluti,
Michele Santoro