1 maggio. Medici, una festa triste. Sul nostro lavoro vivono in tanti, decidono tutti, tranne noi

Agenpress – La festa del lavoro 2020 cade in un momento triste e doloroso per il Paese, la sua sanità, i suoi operatori. Ed i medici in particolare, che si sono guadagnati la prima pagina di “Time”, la definizione del Papa di “santi della porta accanto”, le “lenzuolate” di ringraziamento esposte davanti agli ospedali, i grazie sui cartelli affissi per le strade, gli applausi dai balconi.

Donne ed uomini che hanno arginato la diffusione della pandemia pagando un alto tributo personale in termini di burnout, salute e vita. Il numero dei contagiati e dei morti, un primato mondiale, è la prova del senso di responsabilità e della particolare dedizione al lavoro, ed al giuramento ippocratico, di Professionisti che, per quanto maltrattati, delegittimati, svalorizzati non si sono sottratti, spesso senza le protezioni dovute e necessarie, all’impegno di curare.

Il virus ha rivelato una falla non solo istituzionale, ma culturale e identitaria nella sanità italiana, disvelando una categoria professionale che, in anni non lontani, è stata deprivata di ruolo, status sociale, potere. Dopo che finte aziende e torsioni autoritarie delle Regioni hanno spazzato via i confini sui quali si è costruita la cultura dei diritti, oggi trionfa un lavoro dei medici e dei dirigenti sanitari variamente declinato (a termine, a cottimo, a partita IVA, vera e falsa, lavoretto, somministrato), a volte retribuito con il baratto, insieme con una esplosione di contratti atipici divenuti sacche di precariato stabile per i giovani. Fino a forme di ‘uberizzazione’, nelle quali allo status di dipendente il medico preferisce quello di autonomo cottimista.

Il carattere guerresco della narrazione, adottato dai media e fatto proprio dalla politica, e la mitologia dell’eroe hanno portato, però, a dimenticare che certe mancanze seminano morte, a sorvolare sulle responsabilità, che sono di tutti e quindi di nessuno, perché il taglio delle spese sanitarie era un mantra recitato da tutti i governi, a produrre leggi che legittimano lacune organizzative che hanno trasformato, forzando le linee guida da suggerimenti in prescrizioni, i curanti in curati, untori e morti. Non militi ignoti ma ignorati.

Il “niente sarà più come prima” è solo un mantra se non riconosce che il lavoro è valore fondante di quella sanita pubblica che oggi tutti vogliono salvaguardare, ed il lavoro dei medici ha un ruolo centrale. Oggi, però, sul lavoro dei medici vivono in tanti e decidono tutti, tranne loro. Ma se la Politica vuole rispettare l’impegno, fino al sacrificio, messo in campo per affrontare lo tsunami che si è riversato sugli ospedali deve restituire l’autorità sul lavoro a chi il lavoro lo fa, sottraendola a chi campa sul lavoro altrui, per rimediare alla attuale alienazione del lavoro medico rispetto al suo prodotto di tutela della salute. E riconoscere ai medici ruolo e potere per superare la condizione di prestatore d’opera, anonimo fattore produttivo, svilito nella sua funzione sociale, burocratizzato, impoverito, dal punto di vista numerico e retributivo.

Anaao Assomed celebra con tristezza la festa del lavoro 2020, chiedendo che la cascata dei buoni sentimenti produca un cambiamento vero nella sanità che verrà, fatto di un diverso valore, anche retributivo, al lavoro dei medici e dei dirigenti sanitari, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi che riportino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato. Perché, come anche questa infausta epidemia dimostra, sono i loro saperi e le loro competenze che fanno la differenza tra malattia e salute e tra vita e morte. Almeno questo la Politica deve al sacrificio dei nostri morti.

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