Agenpress – Il giudice Franco “provò a parlarmi della sentenza, ma la camera di consiglio è segreta. Sarebbe stata una scorrettezza grave per lui violare quel segreto e anche per me se lo avessi indotto a farlo. E la mia correttezza è famosa. Per questo cambiavo argomento e tornavo sul motivo delle chiamate ripetute: la sua promozione. Non per sviare”.
Lo dice in un’intervista al Corriere della Sera Ernesto Lupo, primo presidente della Cassazione dal 2010 al 12 maggio 2013, in pensione tre mesi prima della sentenza Mediaset, poi consigliere per gli Affari di giustizia di Giorgio Napolitano al Quirinale.
“Franco diceva che stava male per le polemiche sulla decisione. Con il presidente Napolitano non abbiamo mai parlato della sentenza. Seguivamo quello che succedeva, era un fatto politico importante. Poi il professor Coppi mi telefonò – racconta – per parlare della possibilità di grazia e della sua procedura. Dissi che bisognava esaminare la domanda. Non mi ricordo nemmeno se fu presentata”.
“Se Franco non era d’accordo avrebbe potuto non firmare la sentenza”. Il colloquio tra Franco e Berlusconi è un’anomalia: “Non è che il giudice parla con l’imputato, sia pure dopo la sentenza, e dice che quella che ha firmato è una schifezza”, sottolinea Lupo. Se Franco fosse vivo, io per primo lo interpellerei su questo. Invece mi è impedito dalla tardività delle rivelazioni. Una cosa veramente assurda”.
Franco, inoltre, “si lamentava che il Csm non voleva promuoverlo presidente di sezione e chiedeva a me, che avevo lavorato con lui per 5 anni, di testimoniare che era tecnicamente preparato. Si aspetta la morte di una persona per tirar fuori sue dichiarazioni di cui non potrà più rendere conto. Siamo all’inciviltà più totale”, evidenzia Lupo, che si dice “molto seccato. Mi trovo in seria difficoltà perché non posso dire nulla, perché Amedeo Franco è morto. E non posso più fornire il riscontro a ciò che dico”.