Agenpress – “La necessità di emanare due Dpcm in una settimana conferma che il contenimento della seconda ondata viene affidato alla valutazione dei numeri del giorno con la progressiva introduzione di misure troppo deboli per piegare una curva dei contagi in vertiginosa ascesa”.
Lo dice Nino cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, per il quale davanti ad una curva del contagio che s’impenna ogni giorno di più e ospedali che si riempiono inesorabilmente, “come in un de’ja’-vu nel giro di pochi giorni il Governo introduce ulteriori misure restrittive nel tentativo di frenare l’epidemia”.
“Non essere riusciti a prevenire la risalita della curva epidemica quando avevamo un grande vantaggio sul virus – spiega Cartabellotta – oggi impone la necessità di misure di contenimento in grado di anticipare il virus. Tali misure devono essere pianificate su modelli predittivi ad almeno 2-3 settimane, perché la “non strategia” di inseguire i numeri del giorno con uno stillicidio di Dpcm che, settimana dopo settimana, impongono la continua necessità di riorganizzarsi su vari fronti, spingerà inevitabilmente il Paese proprio verso quel nuovo lockdown che nessuno vuole e che non possiamo permetterci”.
I numeri riportati quotidianamente dal bollettino della Protezione Civile, ricorda la Fondazione Gimbe, non rispecchiano affatto i casi del giorno perché dal contagio alla notifica intercorre un ritardo medio di 15 giorni, in quanto il tempo medio tra contagio e comparsa dei sintomi è di 5 giorni (range 2-14 giorni).
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità il tempo mediano tra inizio dei sintomi e prelievo/diagnosi è di 3 giorni (settimana 7-13 ottobre), ma potrebbe allungarsi considerando i tempi di analisi di laboratorio e di refertazione. Peraltro, per i casi asintomatici non è noto perché la tempestività nella richiesta del tampone dipende dall’efficacia dell’attività di testing & tracing.Inoltre, la comunicazione dei nuovi casi dalle Regioni alla Protezione Civile non avviene in tempo reale: ad esempio, nella settimana 5-11 ottobre meno di un terzo dei casi è stato notificato entro 2 giorni dalla diagnosi, il 54% tra 3 e 5 giorni e il 14% dopo oltre 6 giorni; peraltro tale ritardo aumenta progressivamente per il crescente numero di casi. Va anche considerato che l’affanno del sistema di testing & tracing “aumenta la probabilità di sottostimare i casi, perché l’espansione del bacino di asintomatici non isolati accelera ulteriormente la diffusione del contagio”.
Quindi, “gli effetti delle misure restrittive, non valutabili prima di 2-3 settimane, saranno verosimilmente neutralizzati dal trend di crescita della curva epidemica”. La seconda componente che rischia di rendere la situazione esplosiva è “il mancato allineamento tra le misure dei due DPCM e quanto previsto dalla circolare del 12 ottobre del Ministero della Salute”. Nel documento “Prevenzione e risposta a COVID-19” vengono delineati quattro scenari di evoluzione dell’epidemia in relazione a diversi livelli di rischio accompagnati da relative misure da attuare nei vari settori.
“Considerato che diverse Regioni – spiega Cartabellotta – sono ormai nella fase di rischio alto/molto alto, è inspiegabile che le misure raccomandate non siano state introdotte dal nuovo DPCM, che ha seguito le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico, né attuate dalle Regioni, che hanno partecipato alla stesura del documento”. La terza componente della “non strategia” è il mancato approccio di sistema basato su responsabilità e alleanza tra politica e cittadini, oltre che sull’efficienza dei servizi sanitari.
“Numeri a parte – precisa Cartabellotta – il contenimento della seconda ondata doveva inevitabilmente poggiare, già alla fine del lockdown, su tre pilastri integrati: massima aderenza della popolazione ai comportamenti raccomandati, potenziamento dei servizi sanitari territoriali e ospedalieri e collaborazione in piena sintonia tra Governo, Regioni ed Enti locali”.