AgenPress. «I dati della Corte dei Conti, finalmente mettono un sigillo di coerenza ed appropriatezza ai nostri report sindacali ed alle denunce pubbliche ed istanze che facciamo da mesi ormai. Parliamo di dati che, purtroppo, sono allarmanti: su una base di 31.990 unità di personale infermieristico assunto durante il Covid, quelli che, almeno se stiamo alle promesse del Governo e delle Regioni, avrebbero dovuto rappresentare il salto di qualità per fronteggiare la carenza strutturale e i bisogni contingenti di ricoveri, alla fine solo 8.757 dei grandi numeri annunciati sono a tempo indeterminato, e su 21.414 medici solo 1.350 sono stabili. Stesso triste scenario per quanto riguarda le altre professioni sanitarie, che vedono 7.044 assunzioni a tempo indeterminato a fronte dei 29.776 reclutamenti per la pandemia.
Il Sud in particolare si attesta su numeri davvero desolanti con soli 690 contrattualizzati a tempo indeterminato a fronte di 8.085 reclutamenti.
E’ giunta ora di mettere in evidenza, grazie al periglioso ed ufficiale lavoro della Corte dei Conti, un palese paradosso, un atteggiamento di incomprensibile schizofrenia organizzativa che non ci condurrà molto lontano. Qualcuno dovrà spiegarci, tra i tecnici del Governo e delle Regioni, come è possibile, alla luce dei dati ufficiali OCSE, che vedono l’Italia tra i Paesi Ue, come quello con la più bassa media di infermieri rispetto ai medici operanti ed ai cittadini residenti, che qui invece di assumere le qualifiche maggiormente carenti si fa il contrario?
Il rapporto OECD Health at a Glance 2019-2020 parla chiaro: rispetto a una media in area OCSE di 8,8 infermieri ogni mille abitanti, “da noi ce ne sono solo 5,8”. Mentre di medici ce ne sono ben 4 ogni mille abitanti, ben sopra il dato di 3,5 che rappresenta la media indicata dall’autorevole Organismo.
Il quadro che ne discende è chiaro, e rende ancora meno comprensibile la programmazione fatta da Governo e Regioni: molti più medici rispetto alla media europea, ma continuano ad assumerne, molti meno infermieri rispetto alle altre nazioni continentali, ma di assunzioni capillari, indispensabili, neanche l’ombra.
Ma vi è di più, se scendiamo nel dettaglio e consideriamo “il rapporto tra infermieri e medici”: l’Italia resta uno dei paesi con il tasso più basso nell’OCSE: 1,5. Al 35° posto sui 44 paesi considerati e ben al di sotto della media di 2,7, con un rapporto che è la metà di quello che hanno in Europa ad esempio Francia e Germania (uguale o superiore a 3), mentre il Regno Unito con il suo 2,8 è comunque al di sopra della media.
E allora è davvero in questo modo, che pensiamo di poter aggredire una potenziale nuova emergenza?
In queste ore a preoccuparci è il possibile dilagare della variante Delta: possiamo e dobbiamo contenerla, ma la campagna vaccinale da sola non basta. Occorre un piano mirato, che includa da subito l’aumento di test su casi sospetti per evitare il dilagare di possibili focolai. Realizzare poi efficaci screening e battere forte sulla prevenzione, quella che di fatto manca come il pane nella nostra sanità. Solo così, Governo e Regioni, agendo in piena sintonia con i sindacati del personale sanitario e con gli ordini professionali, possono fronteggiare l’incombere di possibili nuove emergenze.
Proseguire in modo celere e sinergico, da una parte, verso la conclusione della campagna vaccinale finalizzata all’immunità di massa (siamo ancora al 44% della popolazione coperta con la garanzia della seconda dose), ma soprattutto non abbassare la guardia, perchè la pandemia, seppur lontana dai drammi dei mesi precedenti (che noi infermieri abbiamo vissuto come nessuno in prima persona), non intende ancora mollare la presa, e la variante Delta ne porta alta la bandiera».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Sento parlare in queste ore di possibili nuove zone rosse e di una percentuale del 16% di contagi della variante Delta, attraverso l’Istituto Superiore Sanità. Non sono di per se dati già allarmanti ma ci devono comunque tenere in forte stato di attenzione.
La soluzione è una sola: dare impulso e consistenza “reale ed equilibrata” alle fragili risorse del nostro SSN.
Ma soprattutto bisogna valorizzare una volta per tutte le straordinarie risorse professionali a nostra disposizione: una nuova battaglia, che speriamo di non dover combattere mai, non si può fronteggiare, nuovamente come già accaduto, all’insegna del precariato e facendo forza sul coraggio di soldati già allo stremo delle forze, oltre tutto in numero esiguo, e mandati allo sbaraglio a fronteggiare il nemico con armi di cartone».