AgenPress – La famiglia Benetton è davvero fuori da Autostrade? Incasserà dei soldi, e quanti, da questa operazione? Quando terminerà il percorso che porterà al cambio nella proprietà di Autostrade per l’Italia, nuova società a controllo pubblico? Ha vinto il governo, insomma, oppure Autostrade? E se ha vinto il governo quale linea ha prevalso, visto che al suo interno ce ne sono state almeno tre: quella più dura del M5S, quella più morbida del Pd e quella della mediazione del premier Giuseppe Conte? A sentire le dichiarazioni della notte scorsa e di ieri, sembra già tutto fatto e tutti si dichiarano vincitori. Ma nel complesso algoritmo che trasformerà Autostrade in una nuova società a controllo pubblico mancano alcuni dati, altri restano ancora troppo incerti per poter emettere fin da ora un verdetto finale e dettagliato. Alcuni punti, però, sono chiari.
«I Benetton sono fuori, ce l’abbiamo fatta» dice per il Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio. Per raggiungere questo obiettivo, la partecipazione della famiglia nella nuova società Autostrade dovrà scendere dall’88% di oggi a meno del 10%, soglia al di sotto della quale non si ha più diritto a un posto in consiglio d’amministrazione. Al momento, naturalmente, non è così. E nemmeno il semplice ingresso di Cassa depositi e prestiti basterebbe da solo a raggiungere l’obiettivo. Servirà l’ingresso di nuovi soci privati per diluire ulteriormente la quota della famiglia. Negli ultimi giorni sono stati fatti diversi sondaggi e sono arrivati anche dei no. Ma la partecipazione di Cdp, che fa da catalizzatore per i nuovi investitori, dovrebbe consentire di raggiungere il risultato.
Durante il consiglio dei ministri il titolare dell’Economia Roberto Gualtieri ha detto che per chiudere la partita serviranno tra sei mei e un anno. Possibile? L’obiettivo del governo, non dichiarato pubblicamente perché decisamente ambizioso, è di arrivare alla quotazione in Borsa della nuova Aspi entro la fine dell’anno. Per il momento l’unica certezza è la data di partenza, non quella di arrivo. Il primo passo, con un consiglio d’amministrazione della holding Atlantia, deve arrivare entro il 27 luglio. E questo per fare in modo che al momento dell’inaugurazione del nuovo ponte di Genova, prevista per i primi di agosto a due anni dal crollo del Morandi, il percorso sia almeno cominciato.
È il dato più importante che manca per stabilire da che parte pende l’ago della bilancia. Ad oggi non è stato fissato il prezzo al quale saranno messe sul mercato le azioni della nuova società Autostrade a controllo pubblico. Non è possibile farlo perché prima serve una revisione formale della concessione che fissi formalmente le tariffe e quindi renda possibile il calcolo sulla remunerazione degli investimenti. Il valore di Autostrade in questo momento è un rebus, anche viste le brusche oscillazioni del titolo negli ultimi giorni. Le stime variano tra 5 e i 10 miliardi. L’incasso netto dei Benetton potrebbe oscillare tra i 3 e i 6 miliardi di euro. Ma, in realtà, tutto dipende da quel numero che ancora non c’è.
A quella cifra bisogna però aggiungere il debito della società, che al momento sfiora i 10 miliardi di euro. Finirà, inevitabilmente, sulle spalle della nuova società e quindi dei nuovi soci. Con l’aggiunta che due di quei miliardi di debito sono nei confronti di Cassa depositi e prestiti, che diventerà socio del debitore con il risultato di una neutralizzazione di fatto. Il nodo politico, è proprio questo. Evitare che l’operazione appaia come un vantaggio per la famiglia Benetton. Per questo l’aumento di capitale che porterà alla nuova società è vincolato a un impegno: non distribuire dividendi per almeno due anni. Un modo per dirottare le nuove risorse verso gli investimenti. Ma anche per impedire che i Benetton, con il loro residuo di capitale, guadagnino ancora da questa partecipazione. Il risultato, però, è rendere meno interessante l’investimento per i nuovi soci. Con tutti i rischi che questo comporta per il successo dell’operazione. (tratto da Il Corriere)