AgenPress. Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta da Gianluca Fabi e Ilaria Sambucci su Radio Cusano Campus.
Sulla riforma della Giustizia. “E’ evidente che non dobbiamo più fare guerre. La parola guerra, che ai guerrafondai fa comodo, è un diversivo insidioso. Basta guerre, si facciano confronti. Quando i testi saranno pronti, saranno portati in CDM, ma bisognerà avere un confronto con l’Anm, con l’avvocatura, con tutti gli stakeholders della Giustizia. Nessuno può pensare che la magistratura e l’avvocatura si possano sostituire al legislatore, possono intervenire, discutere, ma è il legislatore che decide. Avverto ancora due anime nella magistratura, c’è un’anima che fa una resistenza vintage, che si comporta come se nulla fosse mai accaduto e vorrebbe combattere e agire contro qualcuno in maniera ideologica. E poi invece c’è un’anima della magistratura che vuole collaborare, ma consapevole che sia giusto evitare che chi applica la legge la debba pure scrivere. Dobbiamo tornare ad una leale collaborazione in cui si chiede il parere di tutti, ma poi si deve necessariamente decidere. Questo è quello che ha detto anche il Presidente della Repubblica. Per il momento ci limitiamo a delle riforme di sistema, ma modulari, cioè anche se una parte dovesse fermarsi il resto può continuare. Il Parlamento va sempre rispettato, la proposta deve poi passare attraverso il vaglio dell’aula”.
Sul reato di abuso d’ufficio. “Da anatomopatologo del processo penale, direi che il vero problema dell’abuso d’ufficio non è il finale, perché la maggior parte degli imputati viene assolta. E’ un fucile ad acqua contro la corruzione. E’ un reato completamente sgonfiato. Il vero problema dell’abuso d’ufficio è la pendenza, quando sei indagato ti chiedono di fare un passo di lato, è come se fossi azzoppato, se avessi una palla al piede. Se la pendenza del processo è il problema, è evidente che l’unico modo per evitare la pendenza del processo, non c’è altra soluzione che eliminare il reato. Va preso atto che è un reato che fa più danni che vantaggi”.
Sull’avviso di garanzia. “Prima si chiamava comunicazione giudiziaria ed era un presupposto per far sì che il processo fosse valido, poi è cambiato, ora si chiama informazione di garanzia perché non è un’afflizione, è una tutela, con scopo informativo per il cittadino. Nel tempo è diventata però una sorta di bollatura mediatico-giudiziaria del cittadino, una sorta di condanna preventiva. Noi vogliamo che l’avviso di garanzia recuperi la funzione di tutela. Oggi ti viene notificato un avviso con un numerino e una data. Tu sai soltanto che rispondi di un reato commesso in una certa data. Come ti puoi difendere in questo modo? Noi riteniamo che nell’informazione di garanzia il fatto debba essere specificato, in modo che il cittadino abbia consapevolezza di ciò di cui si deve difendere. Interverremo sul tema delle intercettazioni. I nominativi delle persone non indagate non devono uscire, si deve mantenere riservatezza su quei nomi. Non ci deve essere diffusione di notizie su terzi”.