AgenPress. Sarah Bernhardt porta sulla scena il personaggio. Non i personaggi. La teatralità è caratterizzata dalla scena di un unico personaggio centrale che svolge una peculiare sistematicità del protagonista. È in realtà come se sulla scena ci fosse solo questo personaggio e il resto è contorno. Sostanzialmente la recita è lei: Sarah. Lei occupa la scena.
La coralità è a sé stante rispetto al ruolo del centro che è sempre occupato da lei. Al contrario di Eleonora Duse che pur restando il personaggio edificante si serve sempre di una dimensione corale.
Sarah arriva sulla ribalta da sola, ed è come tutto si aprisse intorno a lei senza mai confondersi con gli altri e le altre.
Eleonora Duse è, invece, parte integrante in un intreccio tra scena, ribalta e anche retroscena. Due aspetti completamente diversi di concepire il teatro ma anche il rapporto con il pubblico. Sarah è più cinematografica. Infatti sarà una icona del cinema muto.
Eleonora resta più teatrale anche quando interpreta il suo unico film.
Eleonora più mediterranea e profondamente calata nella cultura italiana con radici che riportano alla struttura teatrale napoletana.
D’altronde il suo rapporto con Martino Cafiero, il suo primo amore reale con il quale avrà un figlio, e Matilde Serao la legano fortemente al Mediterraneo come sarà legata alla cultura greca da D’Annunzio. Sarah ed Eleonora si incontreranno a Parigi nel giugno del 1897.
Sarah è parigina nel fondo della sua espressività. Infatti nasce a Parigi nel 1844. A Parigi studia recitazione al Conservatorio e viene scritturata proprio dal Teatro Francese. Recita le opere degli autori francesi: da Racine a Victor Hugo, da Molière a Dumas. Fino a portare sulle scene nel 1881 la “Marsigliese”.
L’anno successivo è la volta de “La signora delle Camelie” di Dumas figlio. Opera che verrà portata sulle scene anche da Eleonora Duse. Oltre i suoi viaggi per lavoro quasi in tutto il mondo ritorna spesso nella sua Francia.
Nel 1890 interpreta la Giovanna D’Arco nell’opera di Barbier e sempre nello stesso anno la Cleopatra di Sardou. Si confronta anche con il teatro inglese e soprattutto con Shakespeare. Porta al cinema nel 1908 “La signora delle camelie” e nel 1912 negli Stati Uniti si può vedere “La reine Elizabeth”.
Comunque Racine resta un suo riferimento e un cavallo di battaglia internazionale.
Dopo aver iniziato le riprese “La veggente” a casa sua, stava già male, muore a Parigi dopo undici giorni. Era il 26 marzo del 1923. Siamo al centenario della morte di Sarah Bernhardt.
È chiaro che Sarah Bernhardt con Eleonora Duse, al di là di alcune sfaccettature polemiche, restano due capisaldi del teatro moderno e della modalità della recita.
Direi che sono anche oggi due pilastri dello “sdoganamento” di un teatro d’arte che entra in una visione prettamente letteraria. È come se romanzo e teatro creassero un intreccio dentro le letterature che scavano nella vita. Entrambe portano sulla scena la vita.
Nella loro vita il teatro recita. Sul palcoscenico e nel cinema le storie che raccontano diventano necessariamente le loro vite e forse anche i loro destini. Si pensi a “Cenere” interpretato da Eleonora. O alla interpretazione della signora delle camelie vissuta da entrambe.
Il teatro non è l’altra vita. È la vita. La commedia è il fondamento nella regia e nel “possedere” la ribalta. Eleonora era la regista di se stessa, ovvero la capocomica. Così per il teatro francese ricontestualizzato da Sarah. Due dive o due divine. Moriranno ad un anno di distanza l’una dall’altra. Di Sarah dirà Oscar Wilde che se ne andò quando era “stanca del giorno senza sole”.
Proust scavò in Sarah e lei cercò di ritrovarsi nei personaggi proustiani. Proust morirà un anno prima di Sarah. Chi sopravvisse a Sarah e ad Eleonora fu D’Annunzio, il quale aveva visto negli occhi della francese la notte della luce e in Eleonora la donna che non seppe amare fino in fondo.
Dunque. Vite spettinate al vento della malinconia del tempo perduto. Ma resta fondamentale l’incontro tra la tradizione del teatro italiano con quello parigino.
Gli amori, la bellezza, la rappresentazione sono delle icone intagliate tra i linguaggi della parola e del corpo.
Sarah aveva bisogno della scena e della parola. Eleonora del corpo come linguaggio e del silenzio come parola.
Il mito si decodifica non nella storia, ma nelle geografie delle esistenze che diventano espressività di un dialogo tra la ribalta e il pubblico in uno spaginare le vite rendendole archetipi del sublime.
E così è stato. Ma il teatro moderno tra personaggio e coralità si era aperto allo spettacolo attraverso elementi di comparazioni tra le diverse arti.
Pierfranco Bruni