AgenPress. La tratta e il grave sfruttamento di persone, di cui possono essere vittime sia adulti che minori, sono fenomeni che purtroppo interessano anche il nostro Paese: in Italia e nel mondo 1 vittima su 3 è minorenne.
Ciò che emerge dal rapporto “Piccoli Schiavi Invisibili”, è la fotografia di bambine e bambini figli di braccianti sfruttati che spesso trascorrono l’infanzia in alloggi di fortuna nei terreni agricoli, in condizioni di forte isolamento, con un difficile accesso alla scuola e ai servizi sanitari e sociali.
Sono tantissimi e, nonostante alcuni sforzi specifici messi in campo, sono per lo più “invisibili” per le istituzioni di riferimento, non censiti all’anagrafe, ed è quindi difficile anche riuscire ad avere un quadro completo della loro presenza sul territorio. Il rapporto, inoltre, raccoglie le testimonianze di chi ha subito o subisce lo sfruttamento, insieme a quelle di rappresentanti delle istituzioni e delle realtà della società civile, dei sindacati, dei pediatri, dei medici di base e degli insegnanti.
Il fenomeno dello sfruttamento lavorativo nel settore agricolo si concentra dove c’è più lavoro, come nel caso di alcuni distretti strategici per l’agroalimentare italiano, proprio come le province di Latina e Ragusa, dove ci sono terreni che consentono la coltivazione intensiva, e che richiedono una forte presenza di manodopera anche per la raccolta e l’imballaggio dei prodotti agricoli, e dove sono nati due dei mercati ortofrutticoli più importanti del Paese, il MOF – Centro Agroalimentare all’Ingrosso di Fondi (LT), e l’Ortomercato di Vittoria.
Secondo una stima del 2021, gli occupati irregolari nel settore dell’agricoltura in Italia erano circa 230 mila, con una massiccia presenza di stranieri non residenti e un numero consistente di donne coinvolte, ovvero 55 mila. La maggior parte delle vittime di tratta e sfruttamento nel mondo restano invisibili: quelle identificate nel periodo 2017-2020 a livello globale non hanno superato i 190.000 casi. Chi ha sofferto di più per mano dei trafficanti, secondo gli ultimi dati, sono state le donne, cioè il 42% e i minori, il 35%, mentre le principali forme di sfruttamento sono state di tipo lavorativo o sessuale.
La dimensione dello sfruttamento lavorativo in questi territori riguarda un numero significativo di nuclei familiari, anche mono-genitoriali e spesso di origine straniera, con più figli. Questi minori toccano con mano, precocemente, anche le più drammatiche conseguenze del lavoro sfruttato dei loro genitori.
Le difficoltà economiche e il ricatto dello sfruttamento che schiacciano molte di queste famiglie, sono parte integrante della vita di bambine e bambini, che vivono completamente isolati dai contesti urbani e gli uni dagli altri, senza piazze o spazi comuni in cui giocare, senza centri sportivi o aggregativi, in condizioni abitative spesso malsane o al limite, degradate e affollate, con 2 o 3 famiglie a dividersi 55 metri quadrati.
La negazione del diritto all’educazione per bambine e bambini è uno dei rischi principali: l’assenza di ogni dimensione sociale organizzata e condivisa per i minori, fa della scuola l’unica forma per contrastare l’isolamento dei bambini. Tuttavia, la mancanza di un adeguato sostegno linguistico è un grave ostacolo per studenti, famiglie e insegnanti. Nella provincia di Latina, ad esempio, più della metà degli operai agricoli censiti/regolari (13.000 su un totale di 20.000), sono di origine straniera, in prevalenza indiana, una proporzione che si rispecchia anche tra gli studenti di alcune scuole primarie.
Nello scorso anno scolastico, nell’area di Bella Farnia, la mediazione culturale in affiancamento ai docenti era un servizio comunale, ma si limitava a 8 ore al mese, troppo poco per bambine e bambini che non hanno né tempo pieno né doposcuola gratuito, e non possono essere accompagnati nello studio dai genitori, che lavorano nei campi dall’alba a notte fonda. Nella Fascia Trasformata di Ragusa, dove le aziende agricole impiegano ufficialmente 28.274 lavoratori di cui poco più di 15.000 italiani e 12.653 di origine straniera, romena e tunisina in particolare, l’esclusione sociale si radica dalla nascita.
In alcuni casi, il percorso scolastico si interrompe a causa del coinvolgimento dei minori nello sfruttamento lavorativo, già a partire dai 12-13 anni, con paghe che si aggirano intorno ai 20-30 euro al giorno. Si può trattare di un lavoro a tempo pieno o, più spesso, limitato al tempo extra-scolastico quotidiano o estivo, o di un impegno che può iniziare già a 10 anni per “dare una mano” nel periodo di raccolta. Ciò comporta difficoltà nel fare i compiti e un deficit nel rendimento scolastico, a volte anche a bocciature nelle scuole medie, e a un ingresso ritardato alle superiori (16 o 17 anni), come confermano alcune delle testimonianze raccolte dal rapporto.
“Il Rapporto ci dice che i lavoratori e le lavoratrici sfruttate in campo agricolo, oltre ad essere vittime dirette di questa condizione, sono anche genitori, madri e padri di bambini “invisibili” che crescono nel nostro Paese privi di diritti essenziali. Questa dimensione così grave dello sfruttamento troppo spesso, sino ad oggi, è stata ignorata. È fondamentale innanzitutto riconoscere l’esistenza di questi bambini, assicurare ad ognuno di loro la residenza anagrafica, l’iscrizione al servizio sanitario e alla scuola e i servizi di sostegno indispensabili per la crescita,” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children.
Chiediamo ai Comuni interessati e al Governo misure concrete e incisive per scardinare i meccanismi alla base di queste violazioni.