Vaticano. P. Guerrero Alves. “Il nostro deficit è di 11 mln. Abbiamo un patrimonio netto pari a 1.402 mln di euro”

AgenPress –  “I fedeli hanno diritto di sapere come usiamo le risorse. La Santa Sede non funziona come un’azienda o come uno Stato, non cerca profitti o eccedenze. È pertanto normale che sia in deficit”. Poi i dati del bilancio consolidato 2019: “Abbiamo avuto entrate per 307 milioni di euro, abbiamo speso 318 milioni di euro. Il nostro deficit è di 11 milioni. Abbiamo un patrimonio netto pari a 1.402 milioni di euro”.

Così Padre Juan Antonio Guerrero Alves, prefetto della Segreteria per l’Economia – intervistato da Andrea Tornielli, responsabile editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede – spiega lo stato dei conti della Curia Romana nel bilancio 2019. “Vogliamo che il bilancio spieghi come la Santa Sede usa le proprie risorse per compiere la sua missione, il suo servizio alla missione del Santo Padre”, prosegue Guerrero:

“Ma la Curia non è tutto il Vaticano, precisa Guerrero: “Aggiungendo il bilancio del Governatorato, dell’Obolo, dello Ior, del Fondo pensioni e delle Fondazioni che aiutano la missione della Santa Sede, si ottiene un patrimonio netto di circa 4.000 milioni di euro. Se dovessimo consolidare tutto, nel 2019 non ci sarebbe deficit, né c’è stato nel 2016, l’ultimo anno in cui tutti questi conti sono stati consolidati”. Quanto costa la Curia, e come sono ripartiti i suoi costi? “Potremmo dividere i costi in tre blocchi”, risponde Guerrero: “Quello che abbiamo chiamato asset management è di 67 milioni di euro, il 21% dei costi, e include 18 milioni di euro di tasse e 25 milioni di euro spesi per la manutenzione degli edifici. I servizi e l’amministrazione assorbono il 14% delle spese. E le spese di missione assorbono il 65% delle spese”.

“Il deficit 2019, pari a 11 milioni, è molto inferiore a quello 2018, pari a 75 milioni”, conclude Guerrero: “Si vede che il risultato è stato ottenuto grazie agli investimenti. Mentre il deficit operativo è di 68 milioni a fronte degli 88 milioni del 2018. Le donazioni dei fedeli, sommando anche l’Obolo, contribuiscono per un 35% alle spese. I fedeli vogliono contribuire alla missione della Chiesa, ma è imprescindibile una politica di trasparenza esterna e di comunicazione capace di trasmettere con precisione come utilizziamo il denaro che riceviamo e amministriamo. Questo è l’obiettivo che vogliamo raggiungere, questa è la strada sulla quale il Santo Padre ci ha indirizzati”.

“La Santa Sede non è una grande entità economica. Abbiamo avuto entrate per 307 milioni di euro, abbiamo speso 318 milioni di euro. Il nostro deficit è di 11 milioni. Abbiamo un patrimonio netto pari a 1.402 milioni di euro”, ha detto  sui media d’Oltretevere il bilancio 2019 della Curia Romana. Il deficit 2019 è comunque molto inferiore a quello del 2018, pari a 75 milioni.

“La Curia non è tutto il Vaticano. Aggiungendo il bilancio del Governatorato, dell’Obolo, dello IOR, del Fondo pensioni e delle Fondazioni che aiutano la missione della Santa Sede, si ottiene un patrimonio netto di circa 4.000 milioni di euro. Se dovessimo consolidare tutto, nel 2019 non ci sarebbe deficit, né c’è stato nel 2016, l’ultimo anno in cui tutti questi conti sono stati consolidati”.

Per quanto riguarda le fonti di ricavo della Curia (“sessanta Enti al servizio del Papa nella sua missione di guida della Chiesa”), “nel 2019, il 54%, pari a 164 milioni di euro, è stato generato dallo stesso patrimonio. L’attività commerciale (visite alle catacombe che diversamente dai musei fanno parte della Santa Sede, produzioni vendute dal dicastero della comunicazione, Libreria Editrice Vaticana, ecc.) e i servizi (tasse per alcuni certificati, tasse accademiche di istituzioni universitarie, ecc.) hanno portato un 14%, cioè 44 milioni di euro. Le entità vaticane che non si consolidano in questo bilancio (IOR, Governatorato, Basilica di San Pietro) hanno contribuito per il 14% delle entrate, 43 milioni.

E le donazioni delle diocesi e dei fedeli sono state pari a 56 milioni di euro, il 18%”. A proposito di spese, invece, spiega il prefetto per l’Economia, “potremmo dividere i costi in tre blocchi: quello che abbiamo chiamato asset management è di 67 milioni di euro, il 21% dei costi, e include 18 milioni di euro di tasse e 25 milioni di euro spesi per la manutenzione degli edifici. Potremmo dire che questi 67 milioni di euro sono quanto ci costa generare i 164 milioni di euro di entrate di cui ho parlato prima e che sono derivanti dalla proprietà”.

 

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