AgenPress. Il miglior modo per controllare quello che fa, dice e pensa una persona è leggere nel suo cellulare o nella casella delle email.
Lo sanno così bene i datori di lavoro che acquisiscono le mail inviate e ricevute dall’account personale del lavoratore, anche se per farlo il dipendente ha utilizzato il pc aziendale.
Ma è possibile controllare le email dei dipendenti quand’anche si tratta di reprimere illeciti? La risposta è stata fornita dalla sentenza 540/20, pubblicata dalla sezione lavoro della Corte d’appello di Milano (giudice Susanna Mantovani) che lo ritiene reato per accesso abusivo o violazione di corrispondenza.
E ciò anche se la società sostiene di averle recuperate dal server dell’ufficio. Il fatto che l’interessato abbia scambiato i messaggi attraverso il computer di servizio non rende affatto conoscibili i contenuti per il datore: l’accesso casella, infatti, è pur sempre protetto da credenziali.
E dunque l’acquisizione dei carteggi privati integra in astratto un reato: almeno la violazione della corrispondenza se non l’accesso abusivo a un sistema informatico. Il tutto mentre anche l’accesso alla mail aziendale del dipendente da parte del datore richiede un’adeguata informativa al personale, come ha prescritto la Grande chambre della Corte europea dei diritti umani.
Accolto il gravame incidentale degli ex dipendenti nell’ambito della controversia per concorrenza sleale che li contrappone al datore. Inutilizzabili le mail che la società ha recuperato dal server, sulle quali si fonda il convincimento del giudice di prime cure: manca la prova che i lavoratori siano responsabili degli addebiti.
L’impresa, infatti, non spiega con quale sistema ha trovato nei backup di posta elettronica aziendale la corrispondenza attinente all’account personale degli interessati. I quali escludono di aver impostato l’opzione per ricevere le mail personali sull’applicativo di posta elettronica utilizzato dal pc aziendale.
Insomma: il datore non assolve l’onere costituito a suo carico di aver acquisito in modo legittimo la corrispondenza dalla postazione aziendale dopo la fine del rapporto con i lavoratori. La corrispondenza incriminata ben può essere stata inviata e ricevuta via web da caselle cui si accede solo con username e password, tanto che i lavoratori hanno presentato denuncia-querela contro il datore. E «non è inverosimile l’assunto» della loro difesa che ipotizza il reato ex articolo 615 ter Cp o almeno ex articolo 616 Cp.
Alla società che aveva proposto appello non resta che pagare le spese di giudizio. Come sempre i contrasti giurisprudenziali non mancano, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, tuttavia, nonostante le recenti aperture dei Job Act e la liberalizzazione dei controlli degli strumenti dell’azienda affidati ai dipendenti, l’orientamento resta ancor oggi favorevole al dipendente.