AgenPress – Nel sostenere che un processo in Italia sarebbe immotivato, la Procura generale egiziana nel suo comunicato accredita la tesi che imprecisate “parti ostili a Egitto e Italia vogliano sfruttare” il caso di Giulio Regeni “per nuocere alle relazioni” tra i due paesi. Ciò sarebbe provato dal luogo del ritrovamento del corpo e dalla scelta sia del giorno del sequestro sia di quello del ritrovamento del cadavere, avvenuto proprio durante una missione economica italiana al Cairo, si sostiene nel testo.
Per la Procura “sconosciuti potrebbero aver sfruttato” i movimenti di Regeni “per commettere il crimine, scegliendo il 25/1/2016 (anniversario della rivoluzione del 2011, ndr) perché sapevano che la sicurezza egiziana era occupata a garantire la sicurezza delle istituzioni dello Stato”. Il responsabile “avrebbe dovuto rapirlo e torturarlo affinché il crimine fosse attribuito alla sicurezza egiziana, ha gettato il suo corpo a lato di una struttura importante appartenente alla polizia e in coincidenza con la visita in Egitto di una delegazione economica” italiana, si sostiene nel testo con implicito riferimento alla missione condotta dall’allora ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. “Tutto ciò come se il criminale avesse come scopo quello di informare il mondo intero della sua morte e di attirare l’attenzione” su di essa, viene aggiunto.
La Procura ha sostenuto che a poter essere sfruttati da chi voleva nuocere ai rapporti fra Italia ed Egitto sono stati comportamenti “inconsueti” avuti dal ricercatore friulano. Regeni avrebbe anche parlato agli ambulanti di un possibile cambio di “regime” in Egitto. “Per la Procura è stato provato che i comportamenti e i movimenti inconsueti della vittima erano conosciuti da tutti”, si afferma nel comunicato che, con implicito ma chiaro riferimento a un atto del capo del sindacato degli ambulanti Mohamed Abdallah aggiunge: “la denuncia che è stata sporta contro di lui era nota”.
Nell’evocare “misure” prese conducendo le indagini, la Procura egiziana segnala l’audizione di “oltre 120 testimoni” e i “contatti” avuti da Regeni “nell’ambito delle sue ricerche”: fra gli altri “con componenti dei sindacati indipendenti, dei venditori ambulanti appartenenti a diverse correnti politiche”. In questo quadro il comunicato riferisce di “sue affermazioni fatte con loro arrivate a criticare il comportamento di alcune correnti politiche del Paese”: “le inchieste avevano inoltre provato che la vittima aveva parlato con i venditori ambulanti sul regime al potere in Egitto e affermato che potevano cambiare la situazione come avvenuto in altri Paesi”. Fra l’altro le indagini hanno “svelato i dettagli della sua vita in Egitto, i suoi viaggi” e “le sue visite in diversi Stati tra cui l’Italia, la Turchia e Israele”, scrive la nota con riferimento rispettivamente a un avversario geopolitico attuale (Ankara) e uno passato del Cairo.
“Tutto ciò che l’autorità italiana ha evocato” circa “i quattro ufficiali e sott’ufficiali del settore della sicurezza nazionale egiziana” indagati per l’uccisione di Giulio Regeni “è basato su false conclusioni illogiche ed è contrario a tutti i fondamenti giuridici internazionali e ai principi del diritto che necessitano la presenza di prove certe nei confronti dei sospettati”. Lo sostiene la Procura generale egiziana nel suo comunicato pubblicato oggi confermando di essere arrivata “ad escludere tutto ciò che viene loro ascritto”.
“Le autorità italiane hanno fatto il collegamento fra prove ed atti in maniera scorretta”, circostanza “che ha causato una percezione difettosa degli eventi e una perturbazione della comprensione della natura del lavoro degli ufficiali di polizia, delle loro procedure e della natura dell’inchiesta compiuta sul comportamento della vittima”, si afferma ancora nel comunicato sostenendo in sostanza che gli agenti segreti egiziani avrebbero pedinato Regeni senza però torturarlo a morte.
La Procura generale egiziana, nella sua nota odierna, ha confermato di aver indagato su Giulio Regeni in seguito alla denuncia del capo degli ambulanti Mohamed Abdallah ma ha precisato che l’inchiesta è stata fermata senza arrestarlo perché il comportamento dello studente friulano, pur “non conforme” alle sue attività di ricerca, non costituiva “alcun crimine”. La procura del Cairo conferma di “rifiutare tutti i sospetti” sugli indagati avanzati dalla magistratura italiana la quale li vuole processare “semplicemente per aver raccolto informazioni dopo la denuncia sporta contro di lui”.
“Il comportamento della vittima, il quale non è conforme alla sua ricerca, era una ragione sufficiente perché gli apparati di sicurezza assolvessero il loro dovere giuridico di perseguirlo raccogliendo informazioni amministrative”, obbligo che “non limita la sua libertà né viola la sua vita privata”, sostiene la Procura. “Le inchieste hanno provato che, malgrado questo comportamento strano” di Regeni, “tali comportamenti non rappresentano alcun crimine contro la sicurezza generale, ragione per la quale la raccolta di informazioni si è fermata a quel punto e nessuna misura giuridica è stata presa nei suoi confronti”.