Alla luce del vertiginoso aumento dei suicidi nelle carceri italiane (Bergamo, Napoli, 2 a Torino, Rossano per citare gli ultimi), Sbarre di Zucchero si appella nuovamente al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ed al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio
AgenPress. Signor Presidente, Signor Ministro,
ancora una volta, nella giornata di ieri, all’interno di un perimetro costituzionale della Repubblica, quale dovrebbe essere un istituto carcerario, cioè un luogo di espiazione della pena secondo i dettami della Carta Fondamentale, due donne affidate alla custodia dello Stato si sono tolte la vita, una impiccandosi in assenza di sorveglianza e l’altra lasciandosi morire di fame e sete per protesta contro l’impossibilità di poter vedere e abbracciare la figlioletta.
L’associazione “Sbarre di zucchero” si rivolge a Voi, quali Garanti della Costituzione e delle libertà individuali, per segnalare, ancora una volta, le gravissime condizioni detentive in cui versano decine di migliaia di esseri umani negli istituti di pena italiani.
Una vergogna intollerabile per un Paese che osa definirsi civile.
Nelle strettissime e sovraffollate celle ci si ammala, si soffre e si muore, soprattutto in un periodo di caldo insopportabile come quello che stiamo attraversando.
Nelle celle non ci sono condizionatori e nemmeno ventilatori e, spesso, le ristrette finestre sbarrate non consentono neanche un’adeguata areazione.
Il carcere in Italia è un sistema di tortura e di umiliazione sistematica della dignità umana, usato a mano larga dalla magistratura come forma moderna di tortura per ottenere confessioni e dichiarazioni eteroaccusatorie, e raccoglie e mischia nelle sue viscere feroci criminali ad autori di reati minori o peggio ancora di semplici indagati.
Abbiamo sperato che la nomina di un Ministro della Giustizia dalle vedute liberali e garantiste potesse finalmente rappresentare un punto di svolta. Invece dobbiamo certificare, insieme al crescente numero di morti fra i detenuti sia per malattia che per suicidio, l’immobilismo della iniziativa politica.
Oggi, giustamente, ricordiamo la ferocia nazi-fascista espressa dall’orrore della strage di Sant’Anna di Stazzena. E giustamente quella memoria deve rimanere viva nella coscienza collettiva della Nazione perché mai più si ripetano episodi del genere, ma forse, dovremmo anche cominciare a ricordare la strage annuale che si consuma nelle carceri italiane, sotto la vigenza del regime democratico-costituzionale.
Ricordarla perché non si ripeta ogni anno la tragica e inevitabile conta dei morti.
La colpevolezza accertata o da accertare dei cittadini che muoiono negli istituti di pena non rende questa strage meno grave di quella nazi-fascista, anzi appare ancora più grave perché questi uomini e donne muoiono mentre sono affidati alla custodia della Stato; ed è più grave perché viene ripetuta ogni anno nel totale silenzio della ragione e del ricordo.
Nessuno ricorderà quei morti, nessuna commemorazione, nessuna banda, nessun Giorno della Memoria; eppure, dal 1948 ad oggi sono ormai decine di migliaia le donne e gli uomini morti nelle prigioni della Repubblica.
E, insieme a quei corpi ormai privi di vita, noi seppelliamo la Costituzione, lo spirito della Resistenza dei padri della Repubblica che, da partigiani, hanno donato un respiro di libertà e speranza a questo popolo.
Lo scopo rieducativo della pena, sancito sacralmente dalla Costituzione Repubblicana, funzione che unica – occorrerebbe sempre ricordarlo – definisce e legittima il potere punitivo dello Stato, svanisce per sempre all’orizzonte.
Dove è finita la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva?
Dove è finita la dignità e l’umanità che deve accompagnare l’espiazione della pena?
L’associazione “Sbarre di zucchero” ha come mission istituzionale l’attuazione del dettato costituzionale di cui all’articolo 27, affinché la pena sia sempre più rispettosa della dignità umana e adempia alla sua funzione rieducativa e risocializzante.
Per questo, Signor Presidente, noi ci rivolgiamo, ancora una volta, gridando più forte, confidando come la vedova evangelica che riceve finalmente giustizia bussando, insistentemente, dal basso della sua condizione, alla porta del giudice, a Lei quale Primo Garante della Costituzione e Custode geloso dei suoi valori fondanti e al Ministro della Giustizia di cui condividiamo l’ardore e l’ispirazione garantista.
Signor Ministro non occorrono grandi fondi, si possono fare riforme a costo zero, come aumentare il numero delle telefonate settimanali che i detenuti possono fare alle famiglie. Quanti suicidi si sarebbero potuti evitare con qualche telefonata in più?
Riuscite ad immaginare cosa significa avere solo 10 minuti alla settimana a disposizione per poter sapere se i propri figli sono vivi, se i propri affetti aspettano ancora il tuo ritorno dall’inferno?
Signor Presidente, la nostra associazione Le chiede, ancora una volta, di spendere la Sua autorevole moral suasion verso tutte le Istituzioni di questo Paese, da quelle giudiziarie quelle carcerarie, affinché si apra un dibattito serio sulla condizione detentiva e perché da subito alcuni elementari diritti, che non costano nulla alla collettività e che non abbisognano nemmeno di interventi legislativi come, ad esempio, l’aumento del numero delle telefonate settimanali alle proprie famiglie, vengano riconosciuti e assicurati a coloro che vengono considerati gli ultimi di questa società.
Al Sig. Ministro della Giustizia chiediamo che sensibilizzi la classe politica al problema istituendo la giornata del detenuto in cui ricordare le vittime della giustizia ingiusta e i morti in carcere, e di provvedere con decreto legge ad un ampliamento delle maglie delle sanzioni alternative; prevedere come forma ordinaria di detenzione quella domiciliare con sorveglianza a distanza; riadattando strutture demaniali abbandonate come caserme a forme di semidetenzione; raddoppiando il numero delle telefonate settimanali dei detenuti.
Riforme a costo zero. Riforme che, solo chi vorrà avere sulla coscienza i prossimi morti, ostacolerà e ignorerà.
Noi, la nostra associazione, siamo la loro voce, la voce di chi non ha voce, di chi grida inascoltato, di chi ormai viene considerato solo un rifiuto di cui la società deve disfarsi spazzandolo nel silenzio e nella separazione dal mondo degli onesti. Siamo certi che il nostro grido disperato non resterà inascoltato che prima o poi risveglierà le coscienze degli uomini di buona volontà.
Nessuno più dica di non sapere, di non aver capito, di fronte a questa strage continua, a questo carico di disperazione che nulla ha che fare con l’espiazione della pena o peggio ancora, con la custodia cautelare.
Nessuno più si consideri innocente dinanzi a questo sangue.