Omicidio Giulia Tramontano. Parla l’altra “fidanzata” di Impagnatiello. Volevo aiutarla, il falso Dna, le bugie, gli inganni

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AgenPress – “All’inizio sapevo che Giulia viveva in casa con lui (Alessandro Impagnatiello)  ma da dicembre, gennaio scorso in poi mi diceva che non stavano più insieme. Quando l’ho conosciuto ero consapevole che era fidanzato, ma poi mi aveva detto che si erano lasciati, che non voleva più stare con lei e che non erano più felici nella relazione”.

Lo ha spiegato davanti alla Corte d’Assise di Milano la 23enne italo-inglese con cui  Impagnatiello aveva una relazione parallela, testimoniando, protetta da un paravento, nel processo all’ex barman imputato per omicidio pluriaggravato per aver ucciso con 37 coltellate a Senago, ,nel Milanese, la fidanzata Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, il 27 maggio dello scorso anno.

“Ho capito, poi, che Giulia era ancora presente verso marzo, aprile e che lui non era da solo, quando era andato in vacanza a Ibiza e ho visto sul suo telefono delle sue foto con lei”.

“Non sapendo come gestire la situazione volevo aiutare Giulia, farle capire, darle qualcosa di concreto e farle capire cosa stava succedendo”.  La ragazza ha parlato più volte degli “inganni” di Impagnatiello e ha pianto a tratti durante la deposizione.

Di Giulia (Alessandro Impagnatiello) mi diceva che era bipolare, che non stava bene, che voleva farsi del male, mi ha detto che lei era incinta e lui non era il padre, che aveva un test del Dna, che lei voleva uccidersi e che aveva saputo anche dalla sorella di Giulia che lei voleva uccidersi”.

Ha parlato di tutte le “bugie” di Alessandro Impagnatiello, l’amante dell’ex barman testimoniando nel processo milanese per l’omicidio di Giulia Tramontano. “Io sapevo già tutto, ma volevo capire fino a che punto voleva arrivare con le sue bugie”, ha aggiunto la 23enne. “Lui poi solo verso marzo, aprile mi ha anche detto che aveva un altro figlio da una precedente relazione”.

“Quando ho chiamato Giulia lei mi ringraziò, le ho spiegato chi ero e che ero nella stessa sua situazione, lei mi ha ringraziato e mi ha detto che voleva vedermi, mi ha detto che ci dovevamo vedere quello stesso giorno e lui ha scoperto che avevo parlato con lei ed era incazzato, mi ha detto ‘ti metti a chiamare Giulia’”.

. “Avevo deciso di dire a Giulia quello che volevo farle sapere, che ne avevo abbastanza delle bugie di lui, ho deciso che lei doveva sapere, lui continuava a negare tutto nonostante le prove che avevo”, ha aggiunto. Prima del 27 maggio, giorno dell’omicidio, “l’ho affrontato e gli ho detto che sapevo tutto e volevo finire la relazione, siamo tra il 20 di maggio e il 27, forse il 24, 25, e lui mi disse che voleva parlarmi della sua situazione e continuava a negare, a dire che non era il padre del bimbo, anche se avevo scoperto che il test del Dna era falso. Diceva che non stava più con Giulia”, ha proseguito la testimone. “‘Se non ci credi che non è figlio mio chiama Giulia’, mi minacciò così. Ma io avevo già deciso di chiamarla e l’ho chiamata”, ha detto ancora la 23enne.

“Ti prego salvati appena puoi. Ora voglio e devo salvare te e il tuo bimbo”, scrisse la 23enne italo-inglese.  Il lungo scambio di messaggi ci fu “appena dopo la chiamata che le feci, prima dell’incontro con lei”. La teste ha spiegato: “Volevo salvarla da una persona che non era onesta”.

La 23enne ha raccontato tra le lacrime, di aver deciso “di abortire, perché non stavo bene, e io per questo, comunque, ci soffro ancora”.

“Fin dall’inizio ha detto che non era il padre del bambino e che aveva fatto il test del Dna. Gli avevo chiesto di farmelo vedere per confermare se diceva la verità. Quando ho visto il test, ci ho creduto”. Lo ha raccontato la ragazza con cui Alessandro Impagnatiello ha avuto una relazione parallela, sentita come testimone in aula nel processo a carico dell’ex barman per l’omicidio volontario della fidanzata Giulia Tramontano, incinta al settimo mese. “Lui aveva detto che lei era da sola e non stava bene, che aveva provato a farsi del male e perciò lui era preoccupato”, ha aggiunto la 23enne davanti alla Corte d’Assise di Milano, arrivando poi a raccontare di come ha scoperto che il test era falso.

“Quando sono andata in viaggio a maggio, lui mi ha prestato il suo tablet e lì ho trovato il file del test del Dna. Ho visto la cronologia delle sue ricerche e ho trovato le immagini per creare il documento. Ho visto anche nelle mail il file Excel per fare il documento”. Da lì la decisione della ragazza di non dire niente per raccogliere “altre prove” così da non consentirgli di continuare a mentire. “Avendo già mentito la prima volta, non volevo che creasse un’altra storia per coprirsi. Ho aspettato di vedere come agire”.

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