Dal “caso Moro” al clima di odio di questi giorni. Chi ha vissuto quegli anni sa

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AgenPress. Negli anni Settanta le Brigate Rosse erano considerate dalle sinistre “compagni che sbagliano” prima di essere state considerate brigate nere o gruppi fascisti. Con il rapimento Moro si cambiò idea. Si rese conto, la sinistra comunista, che non era così.
Il clima di odio di questo nostro tempo non è poi tanto distante da quelle atmosfere. Chi ha vissuto quel contesto sa. O si camminava con “Lotta continua” o “l’Unità” o “Il Quotidiano del Lavoratori” o “il Manifesto” nella tasca delle giacche e dei pantaloni andava bene oppure si era immediatamente considerati nemici del popolo e fascisti. Chi ha vissuto quel tempo da studente universitario sa bene. Da Milano a Roma a Bari. Aldo Moro è stato lo spartiacque. Il comunismo è sempre comunismo. I fatti lo testimoniano.
A distanza di decenni o di epoche la memoria raccoglie la sintesi di un tempo vissuto attraversato e mai superato.
Cosa è stato Aldo Moro per la mia generazione? Un interrogativo mai risolto. Erano gli anni della mia università in una Roma infuocata già prima del 16 marzo del 1978 e anche dopo il 9 maggio di via Caetani.
Erano gli anni della mia giovinezza in una città che è rimasta sempre dentro di me. Come quei 55 giorni. Appresi la notizia della morte di Moro mentre si studiava duro alla casa dello studente di Casal Bertone.
Giorni di fuoco nell’intreccio di storie con quelle brigatiste che subito dopo si sono dissociate. Fu in quel contesto che anche la mia vita cambiò. Eravamo tutti rivoluzionari? A sinistra come a destra.
Moro rimase sempre nel mio immaginario, tanto che mi ha “costretto” a scrivere ben tre libri se non quattro contaminando tutta la mia vita. Eppure avevo 22 anni. L’anno in cui mi sono laureato. Proprio il 9 maggio, di pomeriggio, dovevo sostenere l’ultimo esame di Letteratura contemporanea. Non si fece nulla.
Scemdemmo in piazza. L’appuntamento era al Colosseo. Lì cominciai ad amare e a leggere con passione uno scrittore che mi insegnò a vivere la politica. Leonardo Sciascia.
Lì vidi intrecciarsi le rosse bandiere comuniste con falce martello e stella con le bianche dello scudo crociato. Lì capii che veramente Moro era morto per volontà cattocomunista. Le trattative di Bettino Craxi erano nel vento e l’interesse cristiano di Fanfani delle ultime ore, per tentare la salvezza di Moro, era fallito. Aveva trionfato il partito della fermezza e neppure il suo amico Papa Paolo VI era riuscito ad essere cristianamente autonomo.
Certo, la Chiesa ha avuto le sue terribili responsabilità anche dopo celebrando un rito funebre senza il cadavere dello statista alla presenza della farsa istituzionale, perché giustamente la famiglia volle un funerale privato.
Perché Sciascia? Perché aveva capito tutto subito scrivendo in un giorno quello straordinario libro “L’affaire Moro”, in cui ha raccontato l’abbraccio terribile del rosso e del bianco nella tempesta del maggio fiorito.
Sì, chi decise la morte di Moro? Il partito della fermezza compreso l’allora Msi, Pri, il partito sempre presente de ‘la Repubblica”, che considerava Moro pazzo, e non so chi altro. Tutte le analisi di quel tempo completamente errate.
Le lettere di Moro scritte in quei 55 giorni erano la follia di un folle. Non era così. Non fu così. Lì è morta la vera Repubblica se mai è esistita.
La chicca tragica e ironica e stupida fu, tra le tante, la famosa faccenda della seduta spiritica alla quale partecipò il prode Prodi. Prodi? Che vergogna allora. Non si volle mai approdare a chiarezza con la seduta spiritica di Prodi che indicava addirittura la prigionia di Moro. Mi pare che fosse Gradoli, via Gradoli… Infatti nella seduta spiritica emerse proprio Gradoli. Come mai?
Le commissioni, tante, cosa hanno risolto? Il complotto internazionale, americano russo arabo… Commissioni tanto inutili quanto senza un senso… Il fatto è stato, comunque, che tra dissociati, pentiti e rinsaviti e fuggiti all’estero i terroristi cosiddetti hanno avuto libertà persino di dare lezioni nelle università.
Il tempo passa e gli anni sono corti. Chi ha vissuto quella stagione la porterà sempre sulla pelle e nel cuore straziato. Già quanti anni. Io studente universitario in quella Roma di fuoco. Uno di quei ragazzi aggrappati alle finestre con grata in via Caetani in quel pomeriggio del 9 maggio 1978 sono io, giunto lì mentre il corpo di Moro era ancora nella rossa Renault 5.
Il resto è nella cronaca di una tragedia mai risolta. Non credo che potrà esserci mai chiarezza. Oggi avrebbe ancora senso? Le macerie raccontano più di una mezza verità giunta in giorni che sono nel vento.
Certo, sono un uomo di destra che conosce bene la storia delle ideologie e lo saldamento dei partiti in una età che è stata di transizione. Oggi andiamo anche oltre. In una temperie di conflitti e odio la rabbia delle sinistre supera ogni limite. La scarsa conoscenza della storia da parte delle sinistre è un grande problema. Assistiamo a una generazione che si riempie di slogan e non di approfondimenti seri. Riflettere sul “caso Moro” anche nelle scuole potrebbe essere molto utile.
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