Filosofo per vocazione e sapientia e intellettuale per coraggio. Ci ha lasciato il grande Aldo Masullo

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di Pierfranco Bruni


Agenpress. Lo avevo rivisto dopo molti anni. In provincia di Avellino. Era insieme al mio fraterno amico, e suo allievo forte, Gerardo Picardo. Anzi, proprio Gerardo lo volle ad in incontro dedicato a Rocco Scotellaro. Forse 2006.

Nei miei anni universitari era stato il mio maestro. Mi sono formato in filosofia sui suoi testi e sul suo pensiero.

Suo allievo antico. Poi suo amico come lo fu sempre Gerardo, suo fedele allievo. Ci ha lasciato il maestro diventato faro di amicizia Aldo Masullo. Di Gerardo Picardo mi parlava con la sua solita dolcezza malinconica napoletana.

Ci eravamo sentiti per telefono qualche mese fa prima che uscisse il mio “Lo specchio metafisico”, nel quale ho dedicato un capitolo al suo viaggio filosofico. Aveva letto un anteprima apparso su una rivista.

Filosofo per vocazione e intellettuale per dialettica, Aldo Masullo. Era nato ad Avellino il 12 aprile del 1923. La morte lo ha colto il 23 aprile del 2020 a Napoli.

Nel 2016 disse: “Il nostro tempo storico ci mostra qualcosa di paradossale: nel massimo della connessione informatica, l’uomo sta vivendo il massimo della sconnessione civile. Il compito della politica – al di là delle esigenze amministrative – dovrebbe essere quello di ricreare una tensione verso l’unità, la connessione appunto. Non virtuale, ma dei corpi. Ma ho paura di parlare invano”.

Così disse in una sua intervista apparsa il 10 aprile del 2016 su “la Repubblica”. Una “rivendicazione” che supera qualsiasi metafisica per recuperare il senso della testimonianza non tanto politica ma esistenziale. Dirà ancora: “Oggi bisogna ritrovare la nostra destinazione che non è la morte, che pure arriverà e in me non è lontana, ma la vita. L’umanità sta uscendo sconfitta dal troppo. C’è troppo di tutto. Almeno qui, in Occidente. Cominciamo a viaggiare più leggeri”.

È Aldo Masullo il filosofo che maggiormente ha inciso nella mia formazione culturale. Quel suo rapporto tra vita e tempo che mi ha introdotto in un percorso il cui legame tra vita e filosofia è diventato sempre più importante, emblematico, percettivo dei fatti e delle istanze che la vita ha presentato. Un filosofo che ho studiato moltissimo nel periodo liceale e che ho ritrovato in seguito nei miei anni universitari. Quando feci l’esame di Storia della Filosofia, il testo base che si portava allora era Metafisica di Aldo Masullo.

Da qui è nato il mio scavare in quel concetto metafisico diventato sempre più, non una prassi, ma una visione spirituale della vita. Non partendo dalla filosofia archeologica, dal sapere archeologico della filosofia, quale poteva essere la cultura greca o l’osservazione su Agostino, sono giunto a toccare il nervo di quella filosofia che è parte integrante della mia vita e che ha la sua origine nell’incontro tra Nietzsche, Bergson e Heidegger. Tre filosofi che continuano a rappresentare il mio campo di osservazione. Ma è Masullo che, negli anni universitari, attraverso il suo testo Metafisica, mi ha dato l’opportunità di comprende e di osservare il senso della filosofia nella vita.

Con gli anni ho capito che l’importanza del dato metafisico è diventato centrale nel momento in cui, accanto ai tre filosofi citati, si è affiancata Maria Zambrano, diventando punto nevralgico del mio esistere letterario, confessionale, poetico oltre il nichilismo. In questo particolare momento, Masullo è ritornato all’interno di questa epistemologia della letteratura e della filosofia. Se Masullo ha insegnato nella modernità la via maestra della metafisica e anche il percorso tra i divieti di sosta, le pause e i sensi unici della filosofia metafisica, la Zambrano recupera questo percorso rendendolo pensiero forte, pensiero altro. Pensiero scavato e scavante. Così come le sue osservazioni su Giordano Bruno: “Giordano Bruno ha rappresentato con il suo pensiero una rottura tra l’epoca pre-moderna e il moderno. Il pre-moderno comporta l’idea che vi sia un ordine nella società come in ogni altra cosa e che quest’ordine sia verticale: dall’alto verso il basso; qualcosa, dunque, che evidentemente si profila nei termini di una gerarchia. Ciò che Bruno porta nella filosofia è l’infinità dell’universo. In un universo infinito non esistono centri assoluti: ogni punto è relativamente un centro, rispetto a tutti gli altri. Con Bruno si ha quindi il passaggio da una visione gerarchica a una che non esiterei a definire: anarchica!”

Ho incontrato diverse volte Masullo, soprattutto quando la sua osservazione filosofica si è soffermata sul legame tra ragione e poesia. Altro tema caro alla Zambrano. Masullo fa comprendere come la poesia è altro da sé. Non è un genere letterario. Non è un campo che va nella letteratura. La poesia è arte, mistero, incipit di una sensualità e sensibilità che tocca le corde del misticismo.
Masullo è stato un personaggio eclettico, anche da un punto di vista politico, ideologico. Ha analizzato la cosiddetta “religione dalla prassi” in un contesto fortemente ideologizzato. Per lui la coerenza è stata importante. Un filosofo coerente, anche dal punto di vista dell’incontro tra religione filosofia e politica, diventa un fatto straordinario. Secondo Masullo la poesia esce da tutti i generi letterari e si va a incapsulare all’interno dell’esistenza dell’uomo.

Perché si scrive poesia? Per confessarsi? Masullo crede che la poesia sia qualcosa di misterioso, enigmatico, che non comunica. Uno di quei sentieri mistici che non comunica. La poesia non nasce per comunicare, ma vive per essere interiorizzata costantemente. La poesia è interiorizzazione del superamento della storia, ma anche del tempo, perché diventa immanente. Diventa l’asse intorno al quale ruota il concetto del superamento di morte per diventare immortalità. Immortalità non fisica, non di una idea, non di un pensiero, bensì immortalità di una metafisica. Perché la poesia è tale, afferma Masullo.

Il poeta è un artista! Masullo: “L’artista è colui che non si piega all’ipocrisia del mondo, è colui che cerca e vive la verità della vita e lotta eroicamente contro il mondo ipocrita, a volte fino a soccomberne”. Disse di Nietzsche: “Tutto lo stile nicciano, al di là di ogni trattazione seria, richiama il giocoso, il bisogno di ‘giocare con la filosofia’ “.

Nei miei incontri ho avuto la fortuna di dialogare insieme a lui su un poeta che ha scavato nella realtà, rappresentandola. Mi riferisco a Rocco Scotellaro. Alcuni anni fa Masullo ha presentato un libro che include un mio lungo contributo su Rocco Scotellaro. Con la sua saggezza ironica e “fenomenologica”, ha dato il senso a uno Scotellaro che supera interamente la rappresentazione del reale. Perché la parola poetica è altro rispetto al linguaggio letterario. Mi diceva sempre di stare attento e di non utilizzare mai il vocabolario letterario con l’espressione poetica. “Sono due mondi a sé. Due mondi a parte”, mi ripeteva. Il poeta può essere un letterato, ma può anche non esserlo. Resta il fatto che è uno che percepisce, che avverte, che sente, che ascolta la propria anima. Ciò che scrive è questo scavo d’anima.

Fare questo discorso su Rocco Scotellaro, che è sempre stato considerato un poeta che ha rappresentato la realtà contadina lucana tuffandosi nella storia, ha significato per Masullo condurlo su quella via maestra in cui la poesia va intesa come qualcosa di superiore, di assoluto. Di eterno, rispetto alle altre discipline letterarie. La letteratura è una disciplina letteraria. Il romanzo è una trama letteraria. La poesia, invece, esula dalla ragione. È qualche cosa di altro, di diverso. Ecco perché nei suoi ultimi scritti, Masullo si sofferma sul concetto di morte che deve interagire costantemente con il tempo.

Il tempo è un dialogare. La morte non è un dialogare. È un attraversare il mondo degli infiniti. Un attraversare le metafisiche del senso e degli orizzonti. Si vive sapendo di morire, ma si vive superando la morte attraverso l’idea di immortalità. Qui subentra il Masullo indagatore, conoscitore di quel mondo greco che ha fatto del concetto di immortalità l’ontologia del mito. Senza l’ontologia del mito, o senza il mito che diventa ontologia dell’essere, è difficile poter considerare la valenza della poesia.

Abbiamo bisogno di interiorità?
Dice Masullo: “…lo spazio dell’interiorità cresce con la compressione della nostra capacità, della nostra capacità di esprimerci nell’oggettività del mondo. Quindi è il rifugio nella interiorità che si sceglie, quando il mondo non mi soddisfa, … si potrebbe dire che l’interiorità è il frutto dell’infelicità…”.

La poesia è eternità, infinito. Tuttavia deve fare i conti con questi due elementi cardine: il tempo-vita e la morte-esistenza. Ogni parola è una separazione, una lacerazione. Ogni parola in poesia vive da sé. Nella narrativa, nella prosa, ogni parola non si regge. La parola ha bisogno della continuità del linguaggio, della continuità delle parole. La poesia, invece, no. La poesia è una parola. È l’interpretazione di una spiritualità dentro l’essere esistenza dell’uomo. Una visione importantissima questa, pronunciata da Masullo. Questo concetto lo troviamo poi nella mia Maria Zambrano quando parla di “confessione” come genere letterario. La confessione di Maria Zambrano, però, è la letteratura, il vocabolario della letteratura, la narrativa, la prosa, il pensare. La poesia è altro.

Ecco, allora, perché si giunge costantemente alla dimensione della metafisica, che non è più una fenomenologia, bensì un’ontologia. In questa ontologia non c’è tradizione che tenga perché il poeta porta dentro la tradizione. È questo sdoppiamento del’io, in termini filosofici puri, che permette di pronunciare la fatidica parola che è poesia. L’immaginario, l’immagine, il visionario.

Sono dentro questo circuito labirintico. Dentro il cerchio del labirinto. Sembrerà ambiguo ma il cerchio è il suo labirinto e la poesia non è il cerchio bensì il labirinto che vive dentro l’antico ritorno vichiano che condurrà poi a Nietzsche. La poesia deve guardare alla filosofia, come la filosofia deve poter guardare alla poesia. Sono gli estremi nell’attrazione della verità trovata e non cercata. Della verità che raggiunge il “non limite”. Ma ciò che raggiunge il non limite ci porta direttamente a quella religiosità che è la metafisica.

Masullo è un grande filosofo che ha fatto della filosofia una carnalità, (ovvero una “patica”) una fisicità interiore tra le viscere della parola. Non c’è nichilismo, non c’è la luce oltre il buio perché c’è la luce nella filosofia. Si giunge alla filosofia quando si è dentro una luce. Questa luce è l’immanenza del proprio essere e mai della propria consapevolezza, perché nell’essere vive una dimensione onirica vera e propria. La metafisica nella poesia. La poesia nella dimensione onirica. In sostanzaa: “Con chiarezza emerge il significato dell’e-sistere come coinvolgimento dell’uomo nella vita del mondo, così come questo a sua volta è coinvolto, anche se con altro segno, nella vita dell’uomo. Viene in questo modo pensata l’originaria unità interno-esterno, o affettività radicale….Si affaccia qui la relazione tra antropologia ed etica, tra vita personale e interpersonalità”.

Quella di Masullo è una lezione di esistere nella parola che nasce come poesia. La poesia nasce come poesia, non attraverso gli strumenti in sé della letteratura, ma grazie agli strumenti dell’essere del proprio essere. Dell’essere Individuo: “L’identità dell’individuo o, almeno, la sua identificabilità si originano attraverso erratici incontri nella non-identità del mondo, imprevedibili reti di nodi con le cose e con altri individui. Grazie a questo intreccio di nodi il tempo dell’individuo da dispersivo differenziarsi si trasforma in conservatrice durata, e la sua identificabilità fruttifica dal capitale della comune memoria”.

Infatti: “Il sentire, in ogni vita d’ uomo, è desiderio e allucinazione di un sé, il cui singolarissimo fantasma, coinvolto nel commercio intersoggettivo, indossa l’ uniforme mascheramento dell’ ‘io?.” Ma cosa è questo “io”?  Masullo ci lascia con questa “repetina” visione: “soltanto una rischiosa e problematica resistenza, sostenuta dal miraggio di un desiderio, dalla fantasmatica proiezione di una strenua volontà di salvezza.”

Qui la “paticità” diventa fondamentale e Masullo, da grande maestro, sa chiosare: “Se nel fuoco della tensione e-sistenziale le emozioni umanizzate nascono come ‘vissuti’, o ‘fenomeni’, la paticità dischiude nuovi orizzonti non di trasformate fenomeno-logie (neppure ermeneuticamente riformate), bensì d’inedite e ‘ascetiche’ fenomeno-parte.

Dall’invalicabile inconoscitività dell’estraneo l’individuo viene provocato all’instancabile ‘ascesi’ del cercare la propria universalità di uomo per le vie della non psicologica bensì etica ‘sim-patia’ e della solidale ‘pietà’.” Il punto è proprio  la distinzione: “…la distinzione tra significato e senso corrisponde perfettamente alla distinzione tra esperienza (empeiria, experientia, Erfahrung) e vissuto (paqos, affectio, Erlebnis).”

“…l’uomo è di volta in volta giocattolo e giocatore”, disse Aldo Masullo nella sua intervista già citata in incipit apparsa il 10 aprile del 2016 su “la Repubblica”. Una frase che resta incisa in un modus di vivere la filosofia e l’esigenza dell’esistenza. E non solo. La filosofia, la vita sostanziale e la morte fondamentale.

Nel suo “Arcisenso”, ovvero nel suo dialogare con la solitudine intesa come dialettica ebbe a scrivere: “D’altra parte, senza mettere in gioco gli estremi della guerra o della dittatura, non si può negare che il normale ordine sociale si regge su capillari assolutizzazioni, di cui è potente la rappresentazione simbolica. Sotto gli ermellini e le stole, le parrucche e le toghe di sovrani, prelati, giudici, professori si nascondono le forme fisiche e i privati abbigliamenti degli uomini, quasi per cancellare nei riti solenni del pubblico teatro la varietà degli elementi relativi degli attori, e per evidenziare così la sacralità funzionale del potere, la sua assolutezza. Il giudice è un disonesto? ma lex sed lex! Il confessore è un vizioso? ma il sacramento è sacramento! Insomma è come se la funzione pubblica bruciasse il profilo naturale delle persone e lo sostituisse con una maschera, annullasse il relativo degl’individui e istituisse l’assoluto della carica. Perfino la scuola, le istituzioni della formazione, spesso risultano di fatto finalizzate a seminare di assoluti i campi della mente giovanile”.

Una vita dentro il Pensiero. Un Pensiero che è diventato, soprattutto in questo nostro tempo disperato, vita e morte. Mi resta un rimpianto. Forse anche banale. Ma io e Gerardo ci tenevamo tanto. Quello di non essere riusciti a consegnarli il Premio Scanno alla Carriera. Il tempo passa. Scorre. Erano soltanto gli anni settanta quando feci il primo esame di filosofia con la sua Metafisica. Poi fu tutto Metafisica*!

*Si badi bene: non ho inteso e non intendo parlare del Masullo filosofo della politica e della sua esperienza in politica per una mia e sua scelta e volontà comune. Nella nostra ultima conversazione giunti a discutere di politica sorrise soltanto.

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