AgenPress. Nessuna Nazione e nessuna organizzazione di Stati può essere pienamente indipendente e sovrana se affida ad altri la propria difesa e la propria sicurezza. E questo ha ricadute che vanno molto oltre la questione della difesa in sé, perché coinvolge le dinamiche economiche e commerciali, ovvero, in poche parole, la possibilità stessa di difendere appieno i propri interessi nazionali.
Se non sai difenderti non decidi, se non decidi non puoi considerarti pienamente libero.
È il motivo per il quale ho sempre creduto che fosse una scelta giusta lavorare per costruire un solido pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica, da affiancare a quello nordamericano, in un’ottica di complementarità strategica e capace di incentivare anche la formazione di una solida base industriale.
Nel 2014, gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica si erano impegnati a fornire le forze e le capacità richieste dai piani di difesa della NATO, equivalenti al raggiungimento in 10 anni di spese per la difesa pari al 2% del PIL. Da allora, tutti i governi italiani hanno confermato quell’impegno, senza mai raggiungerlo, senza eccezioni di colore politico. È un obiettivo che abbiamo raggiunto, rispettando così la parola data dall’Italia a livello internazionale. Lo abbiamo fatto sia rilanciando la traiettoria di potenziamento delle nostre capacità di difesa, sia inserendo nel computo delle spese rilevanti le voci che altre Nazioni già considerano, in linea coi parametri dell’Alleanza Atlantica. Spese che rientrano in quell’approccio allargato e multidimensionale della difesa che sono propri del Concetto strategico NATO, del Libro Bianco UE e del Piano Readiness 2030.
Al vertice dell’Aja ci confronteremo sulla proposta presentata dal Segretario Generale della NATO Rutte sul potenziamento della capacità difensiva dell’Alleanza e saremo chiamati ad assumere impegni all’altezza della complessità del tempo che viviamo. Impegni che dovranno essere chiari, trasparenti e soprattutto sostenibili dal punto di vista economico e finanziario, sia per questo Governo sia per quelli che verranno dopo di noi.
Resta ferma la necessità, a livello europeo, di rendere compatibili le regole del patto di stabilità con l’incremento delle spese di difesa concordate con gli alleati. In particolare, con riferimento alle procedure di deficit eccessivo, riguardo cui è necessario conseguire una parità di trattamento ed evitare rischi di applicazioni asimmetriche.
Attualmente la proposta presentata prende atto della valutazione aggiornata che la NATO fa delle minacce e dei rischi per l’Europa, dei conseguenti piani di Difesa, della possibile riduzione del contributo in termini di forze e capacità da parte degli Stati Uniti. Questo si traduce in un impegno per tutti i membri dell’Alleanza ad arrivare al 3,5% del PIL in spese di difesa e al 1,5% in spese di sicurezza.
Sono impegni importanti, certo, sono impegni necessari, che finché questo Governo sarà in carica, l’Italia rispetterà restando un membro di prim’ordine della NATO.
Per il semplice motivo che l’alternativa sarebbe più costosa e decisamente peggiore. Intorno a noi vediamo moltiplicarsi caos e insicurezza, e non lasceremo l’Italia esposta, debole, incapace di difendersi o impossibilitata a tutelare i suoi interessi come merita che i suoi interessi vengano tutelati.
In questa trattativa, l’Italia è stata impegnata, da un lato, ad ottenere una modulazione sostenibile nel tempo degli investimenti richiesti e, dall’altro, a far sì che in questo nuovo programma di impegni per i prossimi anni venga rispettato quell’approccio a 360 gradi che vede come essenziali per la difesa nazionale, europea e occidentale gli investimenti strategici sulla sicurezza in tutti i domini oggetto di minacce ibride.
Significa non solo difesa in senso stretto, ma molto altro. Significa difesa dei confini, lotta ai trafficanti di esseri umani, significa lotta al terrorismo, minacce cyber, infrastrutture critiche e mobilità militare. É un approccio che conoscete, del quale abbiamo già discusso in quest’aula, che l’Italia ha già sostenuto con successo nella fase di discussione del Piano Ue Readiness 2030 e che sta trovando importanti riscontri anche da molti partner.
Grazie alla mediazione voluta e ottenuta da noi avremo un periodo temporale di 10 anni per raggiungere il 3,5%, libertà sugli aumenti annuali senza alcun limite minimo annuo e possibilità di revisione degli impegni nel 2029. In sostanza, tenuto conto che già siamo al 2% del PIL per la Difesa, un aumento dell’1,5% in dieci anni, è un impegno non distante da quello che nel 2014 il governo di allora prese con un aumento dell’1% atteso che in quell’anno l’Italia si trovava all’1% delle proprie spese di difesa in rapporto al PIL .
Riguardo l’1,5% di spese dedicate alla sicurezza, abbiamo invece chiesto e ottenuto che siano gli stati membri a definire cosa considerino una minaccia per la sicurezza dei propri cittadini e quali strumenti mettere in campo per affrontare quella minaccia, e di conseguenza quali spese effettuare.
Si tratta di un percorso compatibile con tutte le altre priorità del governo – perché non distoglieremo risorse da ciò che consideriamo importante per il benessere degli italiani – coerente con gli impegni internazionali dell’Italia, e coerente con la posizione dell’attuale maggioranza di governo, posizione consacrata nel programma con il quale si è presentata agli italiani. Perché senza difesa non c’è sicurezza e senza sicurezza non c’è libertà. E aggiungo, senza sicurezza e libertà non c’è benessere né prosperità.