Cina. YouTube elimina automaticamente alcuni termini contro il regime cinese

Agenpress – I cittadini cinesi hanno scoperto che YouTube cancella automaticamente i commenti che citano alcuni termini  comunemente usati per criticare il Partito Comunista Cinese (Pcc). I commenti che contengono tali termini vengono cancellati in pochi secondi, il che suggerisce che sia opera degli algoritmi di YouTube.

Un’espressione vietata sembra essere «gongfei» (共匪), che può essere tradotta come «bandito comunista», e sembra risalire all’epoca della guerra civile cinese. Un’altra è «wumao» (五毛), che letteralmente significa «cinquanta centesimi» ed è comunemente usata per descrivere l’esercito di troll d’internet che il Pcc usa per diffondere la sua propaganda online. Si dice che i troll siano pagati circa 50 centesimi di yuan per post.

Epoch Times ha quindi verificato la cosa, testando più volte entrambe le espressioni sotto diversi account YouTube e video, con il risultato che i commenti sono stati cancellati in circa 20 secondi. Epoch Times ha perciò inviato un’email a Google, proprietario di YouTube. Un portavoce di Google ha chiesto la prova della cancellazione dei commenti, ma dopo averla ricevuta non ha risposto.

Il problema è stato segnalato il 13 maggio da Jennifer Zeng, blogger e creatrice di contenuti YouTube con particolare attenzione alle notizie e ai commenti sulla Cina, che ha pubblicato un video di una persona che dimostra la cancellazione del commento. Altri hanno poi confermato l’osservazione, e il fatto è stato riportato anche da Taiwan News.

Il legame tra Youtube, Google e la censura del Pcc

Google è stato più volte criticato per il modo in cui collabora col Pcc. Dal 2018, Google collabora infatti con un importante ente di ricerca sull’intelligenza artificiale (Ia) dell’Università di Tsinghua, una prestigiosa istituzione accademica cinese che conduce ricerche sull’Ia anche per l’esercito cinese. Nel 2018 Google era stato anche criticato, perché stava sviluppando segretamente un’applicazione di ricerca censurata per il mercato cinese, nell’ambito di un progetto denominato «Dragonfly». Secondo le informazioni privilegiate trapelate all’Intercept, la controversa applicazione di Google era stata progettata per collegare la cronologia delle ricerche degli utenti con i loro numeri di telefono, rendendo più facile per il regime prendere di mira i dissidenti. Di conseguenza, i legislatori, i difensori dei diritti umani e persino alcuni dipendenti di Google, si erano opposti al progetto, che alla fine è stato accantonato.

Google ha anche gestito una versione censurata del suo motore di ricerca in Cina dal 2006 al 2010, e ha smesso solo dopo che la società stessa ha rivelato che un attacco informatico proveniente dalla Cina aveva preso di mira gli account Gmail di decine di attivisti cinesi per i diritti umani.

Continui abusi

Secondo gli esperti, la Cina è uno dei peggiori violatori dei diritti umani. Da ricerche condotte dalla prima segnalazione nel 2006, si è scoperto che negli ultimi decenni, il regime ha ucciso centinaia di migliaia di prigionieri di coscienza per vendere i loro organi per i trapianti. Lo scorso anno, un tribunale indipendente di Londra ha sentenziato che il prelievo forzato di organi dai prigionieri di coscienza, sancito dallo Stato, dura da anni ed è ancora in corso in Cina «su vasta scala».

Il Pcc gestisce il sistema più sofisticato al mondo di censura su Internet, che impiega decine di migliaia di persone per cancellare manualmente i contenuti e fare post e commenti negativi o positivi in base alle istruzioni del regime. Inoltre, il regime richiede alle società straniere che operano in Cina di censurare argomenti che considera «sensibili», come la democrazia, i diritti umani e la persecuzione in corso in Cina di praticanti del Falun Gong, cristiani, clandestini, uiguri, attivisti per i diritti e altri. Le aziende sono anche costrette a condividere con il regime i loro dati conservati in Cina.

Tuttavia, l’amministratore delegato di Google, Sundar Pichai, ha in passato dichiarato che l’azienda investe in Cina da anni, e continuerà a farlo. Fonte epochtimes.it/

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