Agenpress – Secondo i dati Eurostat riportati dall’Osservatorio, nel 2018, a livello europeo le occupate dipendenti che avevano la possibilità di lavorare da casa erano circa una su otto (il 12,1%), sia abitualmente (3,4%) che saltuariamente (8,7%). La media europea, come di consueto, nasconde le grandi differenze da Paese a Paese: mentre nei Paesi del Nord Europa è una realtà quasi per una lavoratrice su quattro, in Italia si registrava la percentuale più bassa, con una quota di smart worker tra le dipendenti di appena il 2,2% del totale.
Ovviamente, uno strumento come lo smart working e la sua applicabilità sono fortemente correlati alla tipologia di lavoro svolto, ciononostante, una maggiore diffusione di questo strumento potrebbe essere possibile e per tanti versi auspicabile.
L’emergenza ha quindi dato un grandissimo impulso a questa modalità lavorativa, che consente ai lavoratori, ed in particolare ai genitori, di lavorare da casa e riuscire a meglio conciliare le necessità dell’emergenza con quelle professionali. Ma la differenza tra telelavoro (imposto dall’emergenza Covid-19) e il vero smart work, come definito dalla legge 81/2017 “starebbe in questo: da una parte lavorare da casa negli orari prescritti dall’azienda, dall’altra lavorare in modo “flessibile”, cioè scegliendo con l’azienda orari, luoghi e tecnologie”.
In una prospettiva ideale i genitori che possono lavorare in smart working, potendo quindi gestire i tempi e gli spazi dedicati al lavoro e alla famiglia, potrebbero trarre vantaggio anche sulla redistribuzione dei carichi famigliari che pesano per la maggioranza sulla figura della madre.
Da non dimenticare le famiglie monogenitoriali le quali in una prospettiva di lavoro agile potrebbero trarre vantaggio anch’essi per la gestione dei tempi ottimizzandone la redistribuzione tra lavoro e cura dei figli.
Tuttavia, l’ultimo rapporto della CGIL (v. CGIL – Fondazione Di Vittorio, 18 maggio 2020), in base ad un’ampia indagine condotta tra il 20 aprile e il 9 maggio, rileva che, per le donne in generale: “per le donne, questa modalità di lavoro è più pesante, alienata, complicata e stressante”, mentre per gli uomini il lavoro agile è indifferente al lavoro tradizionale o più stimolante.
Comunque sia, il lavoro da casa imposto dall’emergenza su ampia scala costituisce un esperimento importante per il futuro, mettendo in evidenza anche i limiti strutturali della banda larga domestica nazionale ad esempio, da cui sono esclusi il 76% degli utenti, contro il 40% della media Ue.
In molte organizzazioni e aziende lo smart working potrà essere vantaggioso sia per i datori di lavoro che per i lavoratori e le lavoratrici anche dopo la fine dell’emergenza, decongestionando le città e riducendo i tempi impiegati per raggiungere l’ufficio o la sede lavorativa.
Ma nell’emergenza sarà interessante valutare se questo impegno spingerà donne e uomini a negoziare la condivisione dei carichi di cura e muoversi verso un riequilibrio dei ruoli domestici.