Agenpress. Oggi la giurisprudenza internazionale riconosce l’obiezione di coscienza al servizio militare come uno dei diritti umani fondamentali, ma non è stato sempre così. In molti paesi fra cui l’Italia il riconoscimento di tale diritto è stato una conquista di civiltà pagata a caro prezzo.“Se in Italia abbiamo avuto il riconoscimento dell’obiezione di coscienza”, ha scritto Alberto Taccia, pastore valdese, “lo dobbiamo, in gran parte, ai giovani Testimoni di Geova che si sono fatti mesi di galera nelle fortezze militari, per essere poi congedati con umilianti diagnosi di delirio religioso o incapacità psicofisica”.[1]
I Testimoni di Geova hanno sempre ritenuto il servizio militare incompatibile con l’etica di Gesù basata sull’amore e con il comando di amare i propri nemici. Quanti testimoni di Geova italiani nell’ultimo secolo hanno pagato col carcere la loro obiezione di coscienza? E quanti anni hanno trascorso in carcere? Poiché non è possibile rispondere con precisione a queste domande consultando semplicemente la documentazione conservata nei tribunali, l’ufficio centrale dell’ente confessionale ha deciso di condurre un sondaggio rivolgendosi ai Testimoni che sono ancora in vita. Il risultato fornisce una stima (sebbene per difetto)dell’enorme impatto che la posizione dei giovani testimoni di Geova obiettori ha avuto, specialmente nel secondo dopoguerra, sulla società italiana. È emerso che,tra i testimoni di Geova italiani attualmente in vita, almeno 14.180 hanno dovuto scontare una condanna per aver rifiutato di prestare servizio militare. Tra questi centinaia quelli provenienti dalle Marche. Ciò avvenne in larga parte tra la fine degli anni ‘60 e la fine degli anni ’90. In totale, i partecipanti al sondaggio hanno trascorso in carcere ben 9.732 anni.
I testimoni di Geova costituirono “la stragrande maggioranza dei giovani incarcerati per essersi rifiutati di svolgere il servizio militare”, ha commentato lo storico Sergio Albesano. “Con la loro massiccia adesione al rifiuto di entrare nelle fila dell’esercito, di fatto crearono un caso politico e aiutarono a portare il problema all’attenzione dell’opinione pubblica”.[2]La posizione assunta dai Testimoni obiettori di coscienza colpì anche l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che nel 1983 scrisse: “Negli anni Sessanta, quando ero alla Difesa, volli rendermi conto del fenomeno, che andava moltiplicandosi, delle obiezioni militari di coscienza da parte di giovani appartenenti ai Testimoni di Geova […]. Mi colpì, parlando con loro uno a uno nel carcere di Forte Boccea, la evidente ispirazione religiosa e l’estraneità da qualsiasi speculazione politica; non a caso si sottoponevano ad anni di prigione continuando nel rifiuto di indossare la divisa (non c’era ancora la legge per gli obiettori, che essi aiutarono molto a far maturare)”.[3]
Come i resoconti parlamentari testimoniano, il contributo di quegli obiettori spinse le autorità ad approvare, dopo anni di discussioni e rinvii, una legge che sanciva finalmente il pieno riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza, la n. 230 del 7 luglio 1998. Il servizio di leva obbligatorio venne poi sospeso nel 2005.
“Appare evidente il collegamento tra la legislazione sulle obiezioni di coscienza e l’evoluzione della società democratica italiana quale comunità di uomini liberi”, ha affermato il Prof. Sergio Lariccia.“Oggi l’obiezione di coscienza è inclusa tra i diritti inalienabili dell’uomo e, sebbene le sue origini culturali siano anche religiose, ciò che è stato conquistato ha recato benefici a tutti. Abbiamo un debito di riconoscenza verso coloro che hanno contribuito con la loro vita anche alle garanzie delle nostre libertà”.
[1]Riforma, 5 ottobre 2001, p. 5
[2]Azione nonviolenta, luglio-agosto 2018, p. 21
[3]”Gli innocenti esistono”, in L’Europeo, 3 settembre 1983, p. 98. Il corsivo è nostro.