In occasione della IV Giornata mondiale dei Poveri, il sacerdote degli ultimi della Comunità Papa Giovanni XXIII e direttore di In Terris, commenta il messaggio promulgato da Papa Francesco, lanciando un appello ai potenti della Terra affinché “ comincino a riunirsi nei luoghi di autentica sofferenza, mettendosi in ascolto della voce degli invisibili”
Agenpress. Non è un semplice messaggio quello che Papa Francesco lancia al mondo per la Giornata dedicata ai poveri, da lui istituita quattro anni fa. E’ un’enciclica sociale in miniatura, il programma di un intero pontificato. A me, come in una folgorazione improvvisa, ha riportato indietro la memoria ad una giornata particolare: era il 27 ottobre 2007, stavo tornando da un incontro in diocesi a Napoli con don Oreste Benzi, accanto a me in macchina. Non avevamo un minuto da perdere, lo aspettava la Messa da celebrare nella sua parrocchia di Rimini. A un certo punto un bagliore dietro i suoi occhiali giganti e la domanda a bruciapelo: “Ma tu lo sai cosa dobbiamo fare per restare fedeli alla nostra vocazione? Bisogna tenere sempre un occhio fisso su Gesù e un altro sui poveri”. Mentre lo diceva mimava il gesto per indicare le due direzioni dello sguardo, esattamente come se Cristo e l’umanità sofferente fossero presenti in quel momento lì, di fronte a noi che sfrecciavamo in auto verso la celebrazione Eucaristica.
Stessa sollecitudine pastorale e caritativa che si respira nelle densissime riflessioni del “vescovo di strada” Jorge Mario Bergoglio. Chi ipocritamente accusa il magistero attuale di focalizzarsi eccessivamente sui temi sociali, finge di dimenticare che durante il Giubileo del 2000, San Giovanni Paolo II fu parimenti criticato per aver trasformato la Chiesa, a loro (pre)giudizio, in una Ong esclusivamente dedita alla solidarietà. Sono le medesime fandonie sfoderate adesso per inventare un’inesistente incoerenza di Francesco verso la missione contemplativa dell’Ecclesia. In un istante, il messaggio per la IV Giornata Mondiale dei Poveri spazza via questa fantomatica contrapposizione tra preghiera e carità. “Tendere la mano al povero, concentrare lo sguardo sull’essenziale, superare i muri dell’indifferenza”. Sono queste tre dimensioni, tratte dal Siracide, a donare il respiro ampio dell’antico Testamento al vademecum papale per agire in intima relazione con Dio, senza distogliere lo sguardo dall’uomo concreto.
“Preghiera a Dio e solidarietà ai poveri sono profondamente connesse”. E qui sta la straordinaria vicinanza di ispirazione con il Servo di Dio don Benzi: stessa priorità per gli “ultimi della terra”. Tanto più che il tempo per pregare non può mai diventare pretesto per trascurare le urgenze del prossimo. In questo il Pontefice, che proprio in queste ore ha creato un fondo per gli impoveriti dal covid nella sua diocesi, ribadisce che “la Chiesa non ha soluzioni complessive da proporre ma testimonianza e gesti da condividere”. Insomma, la pandemia è l’occasione per dare esempio riconoscendo le povertà e sostenendole in quello che il Papa chiama “un momento di enorme difficoltà”. Non potremo lasciare alle spalle la grande crisi che Francesco qualifica come “economica, finanziaria e politica” finché permetteremo che “rimanga in letargo la nostra responsabilità verso i sofferenti”. Questa è una chiara ispirazione paolina perché è l’apostolo della gente ad insegnare che solo attraverso l’amore ci mettiamo in servizio gli uni degli altri, perciò “tutta la Legge trova pienezza in un solo precetto: portare i pesi gli uni degli altri”.
Un appello scaturisce in noi spontaneo dalla meditazione dell’alto magistero del Santo Padre ed è l’auspicio che i potenti delle nazioni comincino a riunirsi nei luoghi di autentica sofferenza, mettendosi in ascolto della voce degli invisibili la cui cronica fragilità si somma all’emergenza sanitaria collettiva rendendoli ancora più poveri e dimenticati. Intanto “gli esclusi continuano ad aspettare”. Invece di parlarsi solo tra loro chiusi dentro sfarzose e fuori luogo location di rappresentanza, i “delegati del popolo” inizino a confrontarsi con la realtà di una sofferenza dal basso che oscilla tra la rassegnazione e la rabbia repressa. Abbiamo celebrato la solenne ricorrenza del crollo del muro di Berlino mentre altri recinzioni “difensive” venivano innalzate nell’illusione di poter tenere fuori l’avanzata inesorabile della storia.
Futile allucinazione come quella criminale di Erode che pensava di evitare la perdita del potere sterminando innocenti e seminando terrore. Qui torna in nostro soccorso l’immagine fortissima e sorprendente messa in campo da Francesco per spiazzare luoghi comuni e fariseismi. Il Papa invoca la figura più umile e potente appellandosi alla Madre dei poveri, cioè a Colei che accompagna il cammino degli emarginati. La madre di Gesù, nella medesima condizione, ha avuto ogni giorno davanti agli occhi sofferenze e difficoltà perché “Lei stessa si è trovata a dare alla luce suo figlio in una stalla e a fuggire da Erode insieme alla sua famiglia, che ha vissuto nella condizione di profuga per molto tempo”. E’ quella poco conosciuta immagine mariana che don Oreste invocava incessantemente anche in quel viaggio in macchina di tredici anni fa. Cinque giorni dopo, la Madre dei poveri accoglieva in cielo il “contemplattivo”, l’infaticabile apostolo della carità (come lo ha definito Benedetto XVI), che aveva sempre un occhio fisso su Gesù e uno sui poveri.