Hong Kong. Sono 30 gli arresti. In Cina si rischia carcere a vita o pena di morte

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Agenpress –  La polizia di Hong Kong ha eseguito finora a vario titolo più di 30 arresti a Causeway Bay, con addebiti che vanno dalla manifestazione illegale alla violazione della nuova legge sulla sicurezza nazionale, fino all’ostacolo al rispetto delle leggi e al possesso di armi offensive. Lo si apprende dai social media delle forze dell’ordine che nel pomeriggio hanno annunciato il primo arresto in base alla legge sulla sicurezza nazionale: un uomo in possesso di una bandiera dell’Hong Kong indipendente.

Con la nuova legge i processi e il carcere in Cina, la polizia comunista (segreta e non) libera di agire a Hong Kong, fine dell’indipendenza della magistratura, indottrinamento patriottico sulle “meravigliose sorti e progressive” della “nuova via al socialismo” cinese, nelle scuole.

Chi verrà arrestato per questi reati verrà estradato e giudicato dai tribunali cinesi. E in Cina i reati che prevedono la pena di morte sono davvero molti: non a caso si dice che a Pechino “il boia non va mai in vacanza”.

La nuova legge infatti – detta di “Sicurezza Nazionale” – è enormemente più repressiva e liberticida di quella che si era cercato di imporre un anno fa e che – vista oggi – sembra quasi innocua. E per i reati come “secessione, sovversione contro il governo centrale cinese, terrorismo e collusione con le forze straniere” – tutte definizioni che Pechino potrà tranquillamente e indiscriminatamente applicare ai manifestanti pro democrazia che per mesi sono scesi in piazza per chiedere più libertà e meno ingerenze della Cina nella politica nazionale e contro qualsiasi forma di dissidenza o protesta civile – si rischierà il carcere a vita. In Cina.

“La città si trasformerà in uno stato di polizia segreta” ha dichiarato a caldo il giovane leader delle proteste, Joshua Wong, che di fronte a questo colpo di mano ha deciso di lasciare il gruppo politico che aveva fondato, “Demosisto”, e di scioglierlo. “Hanno zittito la nostra voce” ha ammesso con amarezza, “ma io spero che la comunità internazionale continuerà a parlare per Hong Kong”.

Quella di Joshua, però, più che una speranza appare una tragica illusione, visto che sembra proprio che nessuno, nel mondo, voglia – oppure anche solo possa – rischiare di mettersi in rotta di collisione con l’ingombrante e sempre più prepotente gigante cinese.

 

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