7 agosto 1990. Omicidio di Simonetta Cesaroni. Legale, sconfitta per lo Stato, ci sono dei dubbi.

AgenPress –  “L’omicidio di via Poma rappresenta una sconfitta per tutto il sistema giudiziario italiano, una sconfitta per lo Stato. Per la famiglia il dolore non cambia, hanno questa ferita che non si chiuderà mai anche alla luce di alcuni dubbi che non sono stati sgombrati. L’indagine si può riaprire in qualsiasi momento ma a questo punto serve un segnale dalla Procura che in questi ultimi anni però non è arrivato”. Lo afferma l’avvocato Federica Mondani, legale dei familiari di Simonetta Cesaroni uccisa 30 anni fa, il 7 agosto del 1990, con 29 coltellate in uno stabile di via Poma, a Roma.

In una intervista sul Messaggero il dottor Antonio Del Greco, ex capo della sezione Omicidi della questura di Roma, sostiene di avere una idea ma “oggi rischierei di prendere una querela”, aggiunge. “Sono convinto – dice – che il palcoscenico degli attori comparsi in questa storia sia sempre lo stesso: portiere, indagati, datori di lavoro, tra questi c’ è la verità”. Quanto alle indagini “è stato fatto tutto quello che era possibile, compatibilmente con la tecnologia dell’ epoca. Le persone parlano, ma non ricordano che l’ esame del Dna non era certamente preciso come è ora”, afferma.

Raniero Busco è stato assolto. “L’ innocenza dell’ ex fidanzato di Simonetta era palese. Questo conferma che non ci sono stati errori nelle indagini da parte nostra, perché altrimenti, con le tecnologie moderne, si sarebbe arrivati all’ assassino. Del resto, Busco sarebbe stato il responsabile ideale, un po’ come il maggiordomo. È chiaro che abbiamo valutato subito la sua posizione, ma aveva un alibi”, afferma Del Greco.

In questa storia i misteri sono stati all’ordine del giorno: servizi segreti, depistatori e altro. Per il dottor Del Greco il movente “è a sfondo sessuale, qualcuno che lei conosceva. Quale serial killer – osserva sul Messaggero – citofona, sale, e dopo aver ammazzato la ragazza, pulisce tutto e chiude la porta con quattro mandate? È impensabile”. In ogni modo è sempre stato un caso difficile, e “non ci sono stati dei veri testimoni”.

Poi la figura del portiere. “Pietrino Vanacore, l’ uomo più misterioso della vicenda,  morto suicida a un giorno dalla nuova testimonianza nel processo contro Raniero Busco. Che segreti nascondeva?”, chiede Cristina Mangani nella sua intervista. “Viene interrogato per ultimo, ma si capisce subito che non contribuisce alle indagini. Soprattutto quando intuisce che stiamo insistendo sul suo alibi”, osserva Del Greco.

Il papà di Simonetta è morto senza sapere chi ha ucciso la figlia. Ma la parola fine sull’inchiesta comunque – si legge sul Messaggero – potrebbe non essere ancora stata posta. “Come vuole la regola in Italia, il fascicolo rimane aperto ed è sempre affidato al pubblico ministero Ilaria Calò, che, insieme con il collega Roberto Cavallone, aveva scandagliato ogni angolo della vita della ragazza e di chi la conosceva”, riporta il quotidiano romano. E allora da dove ripartire per cercare una soluzione che la famiglia continua ad aspettare?

Nuove evidenze potrebbero venire – secondo il giornale – dal Dna. Ci sono prima di tutto quelle “macchie di sangue gruppo A individuate all’ interno della porta della stanza dove è stato trovato il cadavere della ragazza e poi anche su un telefono dell’ ufficio. Sangue che non si sa a chi appartenga. Gli esami del Dna, sebbene abbiano riguardato un numero considerevole di persone, hanno escluso altri che erano entrati in contatto con Simonetta nei giorni precedenti al delitto. E poi – ricorda sempre il Messaggero – c’è quel “secondo telefono  nella stessa stanza, che non è mai stato analizzato. Altre macchie di sangue sul muro e sulle gambe della sedia sarebbero state viste da papà Cesaroni, alcune le avrebbe anche toccate e lo ha raccontato in un verbale di interrogatorio. Ma di quel sangue non si sa niente, e le sedie non sono state più trovate”.

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