AgenPress. Il dott. Alessandro Vergallo, pres. naz. AAROI-EMAC (associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani-emergenza area critica), è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus.
Sui dati delle terapie intensive. “Stiamo assistendo ad una politicizzazione del vocabolario –ha affermato Vergallo-. Laddove si parla di nuovi posti di terapia intensiva bisogna intendersi su cosa sono. In questi giorni si colpevolizza la Regione Sicilia perché avrebbe truccato i dati sui posti di rianimazione. Ma non è l’unica regione che avrebbe tentato di gonfiare i numeri perché tra i posti di rianimazione nuovi vengono annoverati anche i lettini di sala operatoria che erano stati usati in emergenza nella prima ondata. Quindi tutti i numeri di cui si parla, solo in alcuni casi sono posti veri di rianimazione. I mille posti del Veneto per esempio non sono tutti di rianimazione vera e propria, ci risulta che 111 di questi siano letti di sala operatoria. Verosimilmente i ricoveri in terapia intensiva aumenteranno finchè le misure di contenimento sociale avranno i loro effetti”.
Sui ritardi. “I lavori a nostro parere dovevano iniziare in estate, quando l’epidemia aveva dato un po’ di tregua. Comunque questo adeguamento richiede tempo. Per quanto riguarda il personale degli specialisti il tempo è ancora maggiore perché per formare uno specialista occorrono ben 5 anni dopo la laurea. Il problema è legato ad una cattiva programmazione di almeno 10 anni. Quindi i ritardi non sono sanabili in qualche mese. Il rischio più grosso è che con questa scusa i ritardi non vengano sanati neanche stavolta. Esiste un nepotismo anche in relazione al fabbisogno dei medici. Ci sono settori che andavano potenziati tra cui il nostro, invece per diverse logiche non si è mai fatta una programmazione dei medici quanti servono e dove servono”.
Sui criteri di ricovero in caso di sovraffollamento. “I famosi 5mila posti preesistenti alla pandemia erano già sottodimensionati. I criteri di ammissione ci sono sempre stati, anche in tempi di pace. Si ricovera chi ha chance di essere salvato, altrimenti diventa accanimento terapeutico. E’ chiaro che l’età fa parte di uno di quei criteri che influenza le chance di sopravvivenza e di efficacia delle cure. Si tratta di un criterio di appropriatezza delle cure”.