AgenPress. Dal primo sorgere di focolai di COVID-19, un argomento di grande dibattito è stato se la chiusura delle scuole sia una misura conveniente da utilizzare per mitigare la diffusione dell’epidemia. Il suo contributo ad una minore diffusione della pandemia va infatti commisurato a aspetti negativi quali il suo impatto economico e sociale, quest’ultimo tanto collettivo come individuale.
Le decisioni prese sono state diverse nei diversi paesi con anche variazioni nel tempo, in un dato paese, cosí come diverse sono le valutazioni dell’efficacia della misura, la cui possibile marginalità non deve trarre in inganno. La comparsa di nuove mutazioni del virus impone mitigare tutte le modalità di sviluppo dell’epidemia, data la difficoltà di valutarne a priori l’importanza.
Questo tema è intrecciato con quello dell’effeto delle vaccianazioni. Nel Regno Unito, che si ricorderà ha cominciato a vaccinare alcune settimane prima che i paesi europei (8 dicembre) è stato osservato un abbassamento dell’età l’età media delle persone infette, probabilmente come effetto secondario delle priorità vaccinali, senza però che si possa escludere che sia dovuto a caratteristiche ancora incomprese delle nuove varianti, che trovano meno resilienza nei giovani. In Italia simili osservazioni sono state fatte per gli operatori sanitari e gli ultraottantenni.
Un’analisi dell’effetto della chiusura delle scuole in un quartiere di Londra di 305000 abitanti è stata eseguita, attraverso una simulazione, dalla Brunel University1. Le infezioni riconducibili alle scuole sono meno del 7% del totale, e diminuirebbero significativamente (80%) limitando l’insegnamento presenziale ai ragazzi figli di lavoratori impiegati in attività chiave o particularmente vulnerabili. Invece, l’effetto sui ricoveri sarebbe marginale, risultato questo interpretato come prova che il loro numero è governato dall’effetto del vaccino.
Risultati analoghi di altri studi britannici suggeriscono un effetto maggiore (14%), ma con una riduzione del picco delle infezioni del 40%, dettaglio estremamente importante per ridurre la pressione sul sistema sanitario2.
In Italia, la questione, oggi particolarmente attuale, dato che per circa tre milioni di studenti ritorna la DAD, ha dato e sta dando luogo a molti dibattiti, anche se agli argomenti scientifici si sono spesso sovrapposte considerazioni economiche, spesso settoriali e riconducibili a valutazioni dell’effetto sul consenso politico. Questo spostamento della base della discussione è stato favorito dall’essere la chiusura delle scuole spesso accompagnata da altre misure come la chiusura dei ristoranti o le restrizioni alla mobilità il che rende abbastanza difficile identificarne l’impatto epidemiologico.
Le misure di mitigazione nelle diverse regioni sono determinate in primo luogo dal Governo, che sulla base di molteplici considerazioni, valuta la diffusione della pandemia e la pressione sul sistema sanitario. Tuttavia, la chiusura o l’apertura delle scuole lascia alle regioni un margine per autonome decisioni più restrittive.
L’8 gennaio, dopo le restrizioni imposte durante il periodo di Natale – Capodanno e la prima settimana di gennaio 2021, non c’era alcuna differenza nelle diverse regioni. Il livello di rischio era considerato basso e tutte le regioni erano gialle.
Questo permise alle diverse regioni prendere decisioni differenti riguardo la riapertura delle scuole dopo le vacanze invernali. Un’analisi per regione di una possibile relazione tra i diversi momenti di riapertura delle scuole e le successive evoluzioni della pandemia, che consideri i tempi tipici di incubazione e manifestazione dei sintomi può fare luce sul valore di tale misura.
In Italia gli studenti rappresentano il 13% della popolazione e la dimensione media di una famiglia varia tra 2,31 a 2,41. Quindi, la popolazione direttamente interessata alla decisione di aprire o tenere chiuse le scuole può essere stimata dell’ordine del 30%.
Nei mesi di gennaio e febbraio, si sono effettivamente osservate differenze nell’evoluzione della pandemia nelle varie regioni che hanno dato luogo a diverse classificazioni dei livelli di rischio regionali. Nella valutazione del 21 febbraio, un mese e mezzo dopo le prime riaperture, sei regioni sono passate dal rischio basso (gialle) a quello medio (arancione) ed una fu valutata ad alto rischio (rossa).
Per ciascuna regione, presentiamo nella seguente tabella i dati su dimensione della sua popolazione studentesca, numero delle scuole, data di riapertura e livello di rischio, nella valutazione del 21 febbraio.
Sistema scolastico e pandemia Covid-19
Regione | Studenti/ popolazione | Studenti superiori/ popolazione | Popolazione (milioni) | Scuole | Scuole per 100000 abitanti | Data apertura | Valutazione rischio 21 Febbraio |
Trentino- Alto Adige | 12% | 2.0% | 1.07 | 1094 | 103 | 7-Jan | Rossa |
Abruzzo | 13% | 5.0% | 1.31 | 1919 | 146 | 11-Jan | Arancione |
Campania | 15% | 5.5% | 5.80 | 8512 | 147 | 1-Feb | Arancione |
Emilia-Romagna | 12% | 3.8% | 4.46 | 4288 | 96 | 18-Jan | Arancione |
Liguria | 11% | 4.3% | 1.55 | 1732 | 17 | 25-Jan | Arancione |
Molise | 12% | 7.5% | 0.31 | 607 | 202 | 18-Jan | Arancione |
Toscana | 13% | 4.3% | 3.73 | 4090 | 110 | 11-Jan | Arancione |
Umbria | 13% | 5.0% | 0.88 | 1226 | 139 | 25-Jan | Arancione |
Puglia | 15% | 5.5% | 4.03 | 4546 | 114 | 1-Feb | Gialla |
Basilicata | 14% | 7.5% | 0.56 | 1071 | 191 | 1-Feb | Gialla |
Calabria | 14% | 6.5% | 1.95 | 3992 | 208 | 1-Feb | Gialla |
Friuli Venezia Giulia | 12% | 4.9% | 1.22 | 1476 | 122 | 1-Feb | Gialla |
Lazio | 12% | 4.2% | 5.88 | 5742 | 98 | 18-Jan | Gialla |
Lombardia | 12% | 3.5% | 10.06 | 9754 | 642 | 25-Jan | Gialla |
Marche | 14% | 5.5% | 1.53 | 1937 | 126 | 25-Jan | Gialla |
Piemonte | 12% | 3.9% | 4.36 | 4970 | 115 | 18-Jan | Gialla |
Sardegna | 12% | 5.9% | 1.64 | 2523 | 155 | 1-Feb | Gialla |
Sicilia | 15% | 5.1% | 5.00 | 7408 | 149 | 8-Feb | Gialla |
Valle d’Aosta | 16% | 4.5% | 0.13 | 16 | 12 | 11-Jan | Gialla |
Veneto | 12% | 4.1% | 4.91 | 5452 | 111 | 1-Feb | Gialla |
L’analisi della relazione tra i livelli di rischio e le date di riapertura mostra che:
– L’unica regione in cui la riapertura è avvenuta il 7 gennaio, il Trentino-Alto Adige, è anche l’unica che il 21 febbraio era considerata ad alto rischio. Infatti, fu la prima a passare da gialla a rossa già 4 settimane dopo la riapertura, quando tutte le altre regioni erano ancora gialle.
– Le regioni che hanno riaperto a gennaio si sono suddivise: sei sono passate ad arancione e cinque sono rimaste gialle. Per altro, fissando l’attenzione sulle arancioni, la grande maggioranza di ese (6 su 7) aveva riaperto le scuole a gennaio. L’unica ad averlo fatto a febbraio è la Campania, il che può forse richiedere altri criterio di spiegazione.
Se si considera il gruppo delle regioni rimaste gialle, esso comprende tutte, tranne una, le regioni che hanno riaperto a febbraio, insieme a cinque regioni che avevano riaperto a gennaio.
Naturalmente, queste indicazioni si basano su dati che possono avere altre spiegazioni. Tuttavia, una conferma del possibile legame tra l’apertura delle scuole e la diffusione della pandemia sembra venire dall’ultima valutazione dei livelli di rischio regionali.
A partire da oggi, 1 marzo, tre regioni, Lombardia, Piemonte e Marche, passano da gialle ad arancioni. Esse appartengono al gruppo di regioni che hanno riaperto le scuole a gennaio. In questo gruppo, solo due regioni, Lazio e Valle d’Aosta, rimangono a gialle, anche se, qualche giorno fa, i dati del Lazio avevano posto questa regione molto vicina ad essere definita arancione nella nuova valutazione del governo. Inoltre l’indice Rt della Toscana pone questa regione che aprì le scuole in gennaio come possibile candidata a passare al livello rosso.
Gli altri cambiamenti nella nuova valutazione sono il divenire bianca la Sardegna (che riaprì il 1 febbraio) e che Basilicata e Molise sono diventate rosse. Il Molise era già a rischio medio. Per quanto riguarda la Basilicata, insieme a Campania e Valle d’Aosta, sembra plausibile che la loro valutazione possa essere legata al numero della scuola nella regione.
Per questa ragione e in base ai risultati presentati, si può concludere che, anche se le scuole non sono il principale veicolo di diffusione della pandemia, tenerle chiuse sembra essere scelta migliore che tenerle aperte.
Tuttavia, non si può trascurare che è una decisione delicata con importanti conseguenze indirette a lungo termine. Uno studio OECD sull’impatto economico della misura3 stima che, in una valutazione ottimistica delle “perdite di apprendimento”, durante il resto del secolo si avrà una riduzione del PIL dell’1.5% e un danno del 3% per uno studente “medio”, e maggiore per chi appartenga alle classi sociali meno abbienti. Per l’Italia, circoscrivendo la chiusura al 2020 e supponendo un ritorno al livello 2019, la perdita stimata è tra 1500 e 3000 miliardi di euro. Ulteriori effetti presumibilmente negativi socio-emozionali e motivazionali non sono considerati dallo studio, di cui alcuni dettagli non favoriscono il nostro paese, che nel periodo considerato fu secondo tra 34 per giorni di scuola perduti. Infatti, le azioni suggerite, con il fine di avere presto una scuola migliore che nel 2019, non paiono facilmente implementabili, soprattutto, ma forse non solo, in Italia. In un ottica di insegnamento che usi anche DAD, una differente numerosità delle classi, secondo la capacità dei docenti di utilizzare tali tecniche, e, nel contempo una maggiore personalizzazione dell’insegnamento. Quest’ultimo approccio, proposto da Bloom nel 1968, fu sperimentato con qualche successo in Italia una cinquantina di anni fa per l’insegnamento delle scienze negli istituti tecnici professionali4. Sono anche state formulate altre proposte che lo spazio limitato non ci permette approfondire5.
Queste valutazioni settoriali potrebbero suggerire considerare l’opportunità di azioni diverse, come un lockdown generale di periodo limitato (fu fatto con successo in Nuova Zelanda), nel caso gli effetti della campagna di vaccinazione non dovessero rivelarsi dell’efficacia sperata.
1- D. Groen, Coronavirus, come le chiusure delle scuole influenzano il numero di infezioni, The Conversation, 6 gennaio, 2021, https://theconversation.com/coronavirus-how-school-closures-affect-infection-numbers-152707
2- Cauchemez, S., Valleron, AJ., Boëlle, PY. et al. Stima dell’impatto della chiusura delle scuole sulla trasmissione dell’influenza dai dati Sentinel. Nature 452, 750-754 (2008). https://doi.org/10.1038/nature06732
3- Hanushek, E., Woesmann, L. Gli impatti economici delle perdite di apprendimento, OCDE, 2020. https://www.oecd.org/education/The-economic-impacts-of-coronavirus-covid-19-learning-losses.pdf
4- Arcá, M., Ianniello, M.G., Turchi, A., Violini, G., Analisi di alcuni progetti didattici finalizzata ad un programma di insegnamento delle scienze per i centri di formazione professionale secondo l’approccio del Mastery Learning, Centro Nazionale Tecnologie Educative, 1975
- Manno, B.V., Il terribile impatto economico della chiusura delle scuole, 9 ottobre 2021, realcleareducation.com/articles/2020/10/09/the_awful_economic_impact_of_school_closings_110485.html#:~:text=School%20closures%20are%20estimated%20to,to%20offset%20this%20learning%20loss.