AgenPress. A sei anni dal terremoto del Centro Italia che nel 2016 distrusse Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e altri borghi tra Lazio, Umbria, Abruzzo e Marche il lavoro che resta da fare è ancora enorme e le promesse di una ricostruzione rapida sono, ormai definitivamente, tradite. Per questo l’Associazione non può che presentare un esposto alla Corte dei Conti in relazione ai ritardi nella ricostruzione, chiedendo di ricostruire e valutare la destinazione delle risorse pubbliche – enormi – investite fino a ora.
Per il Codacons, al di là delle solite prospettive per il futuro, la realtà è che – pur a distanza di così tanto tempo dal terremoto – la zona colpita è ancora lontana da una sembianza di vita normale, per come la si intendeva prima del tragico evento.
Le zone colpite dal sisma pullulano ancora di soluzioni abitative d’emergenza e zone rosse, e molti dei luoghi colpiti portano ancora i segni del terremoto: edifici sventrati e macerie sono ancora lì. Strutture fondamentali, spesso fulcro delle piccole comunità dell’entroterra, aspettano ancora di essere ricostruite.
La ricostruzione viaggerà anche “a ritmo sostenuto”, come si legge nel Rapporto sulla ricostruzione del 2022, ma evidentemente non abbastanza: sono troppe le famiglie che vivono ancora nella precarietà e si sentono abbandonate dalle istituzioni, dopo le promesse dei politici arrivati nel tempo a fare passerella nei paesi dell’Appennino. Troppi i ritardi accumulati nella ricostruzione, che hanno generato nelle popolazioni locali un diffuso malessere, una desolazione strisciante fatta di stanchezza, frustrazione e sfiducia.
In generale, a sei anni di distanza, si può dire senza problemi che la ricostruzione sia andata per gran parte a rilento, in quello che è diventato uno dei cantieri a cielo aperto più grandi del nostro Paese.
E l’ultimo tradimento della politica è quello più pericoloso per il futuro: da nessuno dei candidati alla guida del Paese per i prossimi anni sono arrivate proposte solide e praticabili in materia di prevenzione sismica, come garantito a più riprese dopo ogni forte terremoto e come puntualmente disatteso a ogni campagna elettorale. Il fatto che la riduzione del rischio sismico sia tema così secondario nell’agenda politica nazionale – nonostante la vulnerabilità del nostro territorio e delle nostre infrastrutture, nonostante un Paese in cui ogni cinque/otto anni mediamente si verifica un terremoto con conseguenze da gravi a catastrofiche, nonostante circa il 40% del territorio nazionale si trovi in aree ad elevato rischio sismico – rappresenta l’ennesima mancanza di rispetto nei confronti delle popolazioni colpite nel 2016 dal tragico evento.