AgenPress. Il 17 maggio 2023, Ariful*, un bambino di otto anni di Dhaka, in Bangladesh, è stato ricoverato in ospedale con gravi ustioni in diverse parti del corpo. I suoi genitori, ex-musulmani convertiti al cristianesimo, erano al lavoro quando i vicini si sono presentati davanti a casa loro. Volevano sfrattare l’intera famiglia. Trovato il bambino solo, gli hanno versato acqua bollente sulla testa. Dopo 10 giorni di cure mediche del figlio, fortemente traumatizzato dall’accaduto, il padre ha denunciato i responsabili, ma le autorità non hanno agito.
In Uganda, il 16 giugno 2023, un gruppo di militanti islamici delle Forze Democratiche Alleate (ADF) ha fatto irruzione nei dormitori della scuola di Lhubiriha, a Mpondwe, nell’ovest del paese, uccidendo in modo brutale 37 studenti e quattro abitanti del villaggio. Altri studenti sono stati rapiti.
In Colombia, i cristiani sono stati intrappolati tra fazioni e attività ostili per decenni. I leader cristiani che si oppongono ai gruppi criminali vengono minacciati, attaccati o uccisi. Jose*, figlio di un pastore evangelico della regione economicamente sottosviluppata di Arauca, nel nord-est della Colombia, spiega: “Un bambino che cresce nella regione di Arauca è direttamente esposto al conflitto. La minaccia del reclutamento da parte di gruppi illegali e bande criminali è sempre presente. Per strada ci si confronta costantemente con armi e violenza. All’improvviso ci si può ritrovare nel mezzo di un conflitto armato”.
Nello Stato di Manipur, nel nord-est dell’India, al confine con il Myanmar, da quasi tre mesi infuriano violenti scontri dovuti alle tensioni tra l’etnia Meitei, prevalentemente indù, e la minoranza Kuki-Zomi, a maggioranza cristiana. Le tensioni, che covavano da decenni, si sono acuite dopo che il governo filo-induista del Manipur ha deciso di concedere ulteriori terre e privilegi ai Meitei e che i Kuki cristiani sono stati espulsi dalle loro terre ancestrali. La popolazione cristiana e le chiese sono state particolarmente prese di mira. Dopo un mese, 60 cristiani erano stati uccisi, 35.000 erano fuggiti e 397 chiese e 6 edifici cristiani erano stati distrutti.
Aumento costante della violenza
La violenza contro i cristiani è da anni in costante aumento. Nell’attuale World Watch List2 (WWL) dell’organizzazione internazionale in supporto ai cristiani perseguitati Porte Aperte/Open Doors, si può notare un costante aumento del punteggio relativo agli atti di violenza. Da diversi anni, il punto caldo è l’Africa subsahariana, con in testa la Nigeria, che raccoglie il numero maggiore di cristiani uccisi per la loro fede (nel 2023, 5.014 casi documentati). Le violenze, perpetrate per lo più da gruppi militanti islamici, sono da tempo diffuse in tutto il continente a partire dal Sahel e dal bacino del Lago Ciad, terrorizzati da Boko Haram, e dalla costa orientale dell’Africa fino al Mozambico.
Anche il Camerun, a maggioranza cristiana (oltre il 60%), da diversi anni subisce attacchi brutali da parte dei combattenti di Boko Haram contro i villaggi cristiani dell’estremo nord. Nell’attuale report di Porte Aperte, il Camerun è al terzo posto in termini di atti di violenza contro i cristiani (posizione 45 nella WWList 2023). Mentre la sicurezza e la stabilità prevalgono nel sud del paese e nelle regioni costiere, la popolazione del nord del Camerun deve affrontare continue violenze. Nelle regioni montuose dell’estremo nord, i cristiani lasciano i propri villaggi ogni sera, prima del tramonto, per nascondersi nella boscaglia o sulle montagne e passare la notte al sicuro. Marie Olinga*, docente universitaria impegnata da diversi anni nell’accompagnamento di chi finisce vittima della violenza anticristiana, riferisce: “Proprio di recente, a metà luglio, un uomo non è riuscito a uscire di casa in tempo. Sua moglie era già andata avanti con i bambini per cercare un posto dove trascorrere per la notte. Lui è stato sorpreso dai combattenti di Boko Haram e brutalmente ucciso, mentre tutti i suoi averi sono stati rubati o sono andati distrutti. La gente vive in un costante stato di insicurezza”.
In molti cercano di lasciare la regione, ma non vengono accolti facilmente. Altri restano, perché non hanno una famiglia a cui rivolgersi oppure perché sperano che i loro figli, rapiti dai militanti islamici, un giorno tornino a casa. “Se ti rifiuti di convertirti all’islam rapiscono i tuoi figli. Li obbligano a diventare musulmani e li rimandano indietro per uccidere i propri genitori se questi continuano a rifiutarsi di convertirsi. Le ragazze vengono poi costrette a sposare i militanti islamici”, così racconta Olinga.
Le conseguenze devastanti per la società
La spirale di violenza continua, la costante insicurezza e le minacce hanno un impatto sull’intera società e sulle nuove generazioni. I bambini che crescono in questa situazione non conoscono altro e i giovani, che non ricevono un’istruzione perché il sistema educativo non regge alla situazione di instabilità, non hanno un futuro. Le infrastrutture e le strutture sociali non possono funzionare quando la popolazione è costantemente in fuga.
Le chiese locali perdono il loro ruolo di costruzione della comunità se non possono più offrire sicurezza e irradiare speranza. I cristiani hanno difficoltà a riunirsi quando gli edifici delle loro chiese sono distrutti e quando i loro leader sono stati uccisi o hanno dovuto lasciare la regione a motivo della persecuzione. Di conseguenza, i cristiani devono vivere la propria fede da soli e spesso in segreto, nella perenne insicurezza e nel timore di essere scoperti o attaccati.
“Abbiamo bisogno di porre fine alla violenza, abbiamo bisogno di una pace duratura. Questi attacchi devono cessare. Le persone devono potersi riunire per mettere insieme le idee su come fermare efficacemente la violenza. Non è possibile trasferire altrove tutte le persone che vivono nelle aree colpite per metterle al sicuro. È necessario invece che rimangano e che vivano in un ambiente sicuro”, continua Olinga. “Abbiamo bisogno di uno sforzo congiunto per garantire sicurezza e stabilità. Dobbiamo aiutare le persone a superare i loro traumi e ad acquisire resilienza e nuove speranze. Nel farlo, dobbiamo sostenerle fornendo cibo e alloggio come primo aiuto, per soddisfare le necessità primarie”.
La violenza si manifesta in molte forme.
Le aggressioni violente non si manifestano esclusivamente sotto forma di attacchi diretti alla vita della vittima, ma possono assumere diverse forme di violenza fisica o materiale. Tuttavia, si traducono sempre in danni chiaramente visibili o misurabili. Porte Aperte/Open Doors registra un numero crescente di casi di violenza contro i cristiani a motivo della loro fede. Si tratta di cristiani uccisi o feriti, di attacchi a edifici ecclesiastici e ad altri edifici cristiani (come scuole, cliniche, ecc.), di chiusura di chiese e di cristiani arrestati, condannati e rinchiusi in prigioni o campi di lavoro forzato. Rapimenti, aggressioni sessuali, matrimoni forzati, abusi fisici e psicologici, sfollamenti, case o aziende distrutte o saccheggiate sono altri episodi di violenza contro i cristiani.
A luglio, il Parlamento europeo (Bruxelles) ha approvato una risoluzione urgente4 in merito agli avvenimenti del Manipur, in India. Il Parlamento europeo ha chiesto al governo indiano di adottare tutte le misure necessarie “per porre immediatamente fine alle violenze a sfondo etnico e religioso in corso”. Miriam Lexmann, europarlamentare della Slovacchia, ha dichiarato: “L’Unione europea non può chiudere gli occhi di fronte a questo crimine”. “Il nostro messaggio deve essere chiaro: non distoglieremo lo sguardo dalla violenza e non volteremo le spalle ai cristiani perseguitati5”, ha aggiunto Ladislav Ilcic, europarlamentare della Croazia.
*nomi cambiati per motivi di sicurezza