AgenPress. Il 3 ottobre di 10 anni fa, all’alba, a poche miglia dalla salvezza, si rovesciava un barcone proveniente da Mishrata in Libia, bilancio: 368 vittime, 20 dispersi, 151 sopravvissuti, una delle più gravi stragi nel Mediterraneo Centrale.
Ma non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima di una lunga catena di delitti, giusto chiamarli con questo nome, dovute alle leggi UE e italiane, a governi di diverso colore, alla criminalizzazione della solidarietà, alla decisione spregiudicata di limitare i soccorsi in mare o, peggio ancora, di affidare le vite di chi fugge, a criminali che indossano le divise delle Guardie costiere di diversi Paesi e che svolgono contemporaneamente il lavoro di trafficanti, carcerieri e venditori di carne umana.
Sin dalla fine degli anni Novanta si combatte nel Mediterraneo una guerra silenziosa che vede da una parte carnefici ben armati e dall’altra vittime colpevoli unicamente di volere un futuro; quel tratto di mare fra i più sorvegliati del pianeta è divenuto un’immensa fossa comune che ogni giorno inghiotte altre vite. Chi come noi nasce avendo come elemento fondante la contrarietà alla guerra, a tutte le guerre, non resta indifferente. L’Europa che vogliamo contribuire a costruire non ha nulla a che fare con questa fortezza criminale, ad est piena di muri e fili spinati, a sud divenuta un deserto in cui aiutare è un reato.
Vogliamo vivere in un continente in cui si possa circolare indipendentemente dal colore della pelle e del passaporto, in cui non si rischino galere e deportazioni, in cui il benessere dei popoli sia sovradeterminante rispetto agli interessi dei padroni e dei capitali. La pace per cui lottiamo parte anche per un Mediterraneo che sia luogo di vita e di contaminazione.
La storia occidentale, accanto alle rivoluzioni, alle grandi esperienze di affrancamento sociale, è stata ed è ancora il crogiuolo di nazionalismi, colonialismi e suprematismi che insanguinano il pianeta. Un sistema fondato su sfruttamento e logica di profitto che schiaccia tanto le classi subalterne autoctone quanto interi popoli, che ha prodotto guerre, genocidi, devastazioni ambientali e che abbiamo il dovere di ricacciare in un passato da non replicare.