AgenPress. Viviamo un tempo terribile. Un tempo pessimo direbbe Manlio Sgalambro. Cosa resta della civiltà della pazienza e del rispetto, ammesso che ci sia mai stato. Ma in questa ultima temperie la stagione dei lupi e delle iene ha preso il sopravvento.
Non si conosce cosa sia il rispetto. Non si conosce cosa sia l’eleganza. Non si sa più cosa sia l’amicizia. È inutile che si possa insistere che questa società è da porre sul lettino dello psicoanalista.
Per chi crede poco ai lettini, o per nulla, ai lettini delle confessioni e crede molto, invece, alla psichiatria farmacologica forse bisognerebbe tornare all’incipit della preistoria e delle comunità tribali per capire che terapia adottare in termini più veloci.
Siamo in un contesto della follia generalizzata e il meno folle è quello che si limita al sarcasmo sulla vita degli altri. Ormai siamo fagocitati dall’apparire e dal mostrarsi ciò che non si è.
Diamo le responsabilità sempre ad altri o a un desiderio di dimostrare di esserci. Esserci sempre pur di non sentirsi esclusi. L’esclusione la si legge come una solitudine coattività. Senza rendersi conto che c’è un tempo per tutto.
L’Ecclesiaste è un viaggio non tenere. Ma intorno a quel dire c’è la vera vita dell’uomo. Operiamo come se fossimo immortali. O come se dovessimo lasciare delle tracce visibili purchessia. Nel bene e nel male. Ma non sappiamo cosa c’è seriamente al di là del bene e al di là del male.
Non si tratta di una questione morale. Neppure etica. Neppure fenomenologica. È cercare di guardarsi dentro e dirsi: Chi sono realmente? Cosa voglio? Dove posso arrivare? Dove posso trovare la serenità? Invece no. L’odio trionfa. L’invidia è una abitatrice accanto o dentro. La gelosia è uno strumento di distruzione.
Nessuno che si chieda: Quali sono i miei limiti? Ovvero con le mie capacità dove posso arrivare, cosa posso fare, cosa mi piace di più, quali sono i miei interessi, cosa è la vera felicità e come posso non offendere nessuno… Un cassetto che nessuno ha il coraggio più di aprire perché tutti siamo convinti che anche senza una adeguata capacità possiamo ottenere ciò che altri si sono conquistati.
I barbari di Kavafis sono alle porte. Ma l’uomo senza qualità ha preso il sopravvento. Profezie di un tempo lontano. Di quando Orwell sapeva osservare nel suo di dentro, Musil scrutava il contemporaneo, Berto faceva arrivare su Saturno tutti i meridionali nel 2160 con la Speranza n. 5.
La Speranza. L’uomo dei nostri giorni quale Speranza rincorre? A quale si affida? Il potere annebbia. Anzi la corsa al potere paralizza tutto il resto. La politica respira tutto ciò, si nutre di pochezze umane trasformandole in problemi universali.
Questo perché, per restare in un tale contesto? Perché abbiamo una classe politica che lascia molto a desiderare. E non solo politica, ma circola una “cultura” che vive disperatamente nella ideologia della supponenza, ovvero del Migliore”, eredità Togliattiana, senza avere la capacità della distinzione e della consapevolezza di cosa deve essere realmente la cultura.
La sinistra ha ucciso la vera cultura con la supponenza del vero in cultura. Si ritrova nel guado soprattutto con la resistenza alla Resistenza e all’antifascismo di un fascismo che è morto nel 1945, senza avere il coraggio di guardare a un comunismo imperante in Europa e nel mondo. Il fatto è che tolto questa lagna dell’antifascismo non ha alcuna programmazione progettuale. Un Progetto culturale pensante al futuro e alle innovazione non è un loro obiettivo. Vivono il rimpianto di un tempo che non riescono a costruire.
Incredibile tutto ciò. Ma è un discorso che potrà sviluppare in altra occasione.
Ma il desiderio di cui si parlava si trasforma in un delirio, in cui tutto è possibile basta spingere l’acceleratore dei mezzi di comunicazione.
Una verità pessima. Ma siamo in un mondo pessimo dove l’unica consolazione è la misantropia, accrebbe detto ancora una volta il filosofo Sgalambro.
Ci trasciniamo fagotti inesistenti e tutto appunto è pessimo.
Pierfranco Bruni