AgenPress – Il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia europea il decreto sui cosiddetti Paesi sicuri (dove quindi è possibile rimpatriare i migranti) del governo italiano. Si chiede come sia effettivamente possibile individuare tali Stati e se il principio del primato europeo imponga di ritenere che in caso di contrasto fra le normative prevalga quella comunitaria.
Il Tribunale prende le mosse proprio in riferimento al Bangladesh, che rientra tra i Paesi sicuri, ricordando che i casi in cui si riscontra la necessità di una protezione internazionale sono legati all’appartenenza alla comunità Lgbtqi+, alle vittime di violenza di genere, alle minoranze etniche e religiose, senza dimenticare i cosiddetti sfollati climatici. Lo spirito del decreto, evidenziano i giudici, avrebbe dunque principalmente la natura di “un atto politico, determinato da superiori esigenze di governo del fenomeno migratorio e di difesa dei confini, prescindendo dalle informazioni e dai giudizi espressi dai competenti uffici ministeriali in ordine alle condizioni di sicurezza del Paese designato”.
Come ha spiegato Pasquale Liccardo, presidente del tribunale di Bologna, il rinvio punta a ottenere “con la richiesta di procedura d’urgenza, l’uniforme e stabile interpretazione del diritto dell’Unione da parte degli organi giurisdizionali e di tutte le articolazioni dello Stato, tenute all’osservanza del diritto dell’Unione europea secondo l’interpretazione vincolante della Corte di Giustizia europea”.
In sintesi, si sta chiedendo se, “anche in presenza di una lista di Paesi sicuri adottata con legge ordinaria, o con decreto legge come nel caso in esame, sussiste l’obbligo per il giudice nazionale, obbligo imposto dal diritto dell’Unione come interpretato dalla Corte di Giustizia con la recente sentenza del 4 ottobre C-406/22, di procedere alla disapplicazione dell’inserimento del paese di origine nella lista dei paesi sicuri, ogni qual volta anche una categorie delimitata di persone venga perseguitata o minacciata gravemente”.
I Paesi inseriti nel decreto, “individuati secondo i criteri stabiliti dalla normativa europea e dai riscontri rinvenibili dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti”, sono:
- Albania
- Algeria
- Bangladesh
- Bosnia-Erzegovina
- Capo Verde
- Costa d’Avorio
- Egitto
- Gambia
- Georgia
- Ghana
- Kosovo
- Macedonia del Nord
- Marocco
- Montenegro
- Perù
- Senegal
- Serbia
- Sri Lanka
- Tunisia