AgenPress. La Fondazione Insigniti OMRI si unisce alle celebrazioni per la prima Giornata nazionale dedicata agli Internati Militari Italiani (IMI), istituita con legge dello Stato nel gennaio 2025, con una riflessione del Presidente del proprio Comitato Consultivo per la Comunicazione Istituzionale, Grande Ufficiale Costantino Del Riccio, già dirigente del Quirinale, dove ha prestato servizio per oltre trent’anni all’Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica, ricoprendo per quindici anni l’incarico di Vicario del Direttore.
Segue il testo del contributo firmato da Costantino Del Riccio.
“Il 20 settembre, la Repubblica celebra la “Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale”, istituita con una legge approvata all’unanimità dal Parlamento lo scorso gennaio.
Questa giornata si aggiunge alla Giornata della Memoria del 27 gennaio e al Giorno del Ricordo del 10 febbraio, formando un calendario civile che ha l’obiettivo di ricordare e rendere giustizia alle vittime, ma anche di condannare le ideologie che alimentarono genocidi e deportazioni. La memoria, infatti, serve a impedire che simili orrori si ripetano.
Quest’anno la prima celebrazione si svolgerà al Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per ricordare la tragedia dei 650.000 soldati italiani catturati e deportati in Germania dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Il destino degli Internati Militari Italiani (IMI) rappresenta uno dei capitoli più oscuri e meno raccontati della nostra storia.
Nelle settimane convulse seguite all’armistizio, circa un milione di militari italiani caddero nelle mani dei tedeschi: solo una minoranza scelse di aderire alla Repubblica Sociale o di collaborare con la Wehrmacht.
La grande maggioranza rifiutò di combattere al fianco dei nazisti, accettando la prigionia e rimanendo fedele alla Patria e al giuramento al Re.
Fu una scelta consapevole, etica e coraggiosa. Questi uomini avrebbero potuto evitare sofferenze accettando di schierarsi con Salò. Invece, preferirono subire la detenzione, sostenendo un principio di dignità nazionale e di lealtà morale.
La presenza di soldati “internati” costituiva un problema politico per Mussolini, che non poteva ammettere l’esistenza di prigionieri italiani nelle mani tedesche. E la qualifica di “prigionieri di guerra” avrebbe implicato il riconoscimento del Regno del Sud.
Per questo motivo fu coniata l’etichetta artificiale di IMI: non prigionieri di guerra — categoria tutelata dalle convenzioni internazionali — ma semplici “internati”, trasformati in manodopera coatta.
Il ministro degli Armamenti del Reich, Albert Speer, li destinò alle fabbriche belliche, dove le esigenze di produzione erano enormi. Qui gli internati conobbero condizioni disumane:
abiti logori, zoccoli di legno, baracche sporche e infestate, punizioni corporali, fame costante.
La loro condizione non fu molto diversa da quella dei prigionieri dei lager.
Molte industrie, situate in città bombardate, decisero di mantenere la produzione anche durante gli allarmi aerei. I lavoratori venivano costretti a rimanere alle macchine sotto il ricatto del pane quotidiano.
Anche l’assistenza sanitaria era negata o concessa in forma punitiva: chi chiedeva di andare in infermeria rischiava ritorsioni e, in ogni caso, riceveva razioni ridotte.
Non fu infrequente l’uso delle armi contro gli internati e, verso la fine della guerra, vi furono episodi di esecuzioni.
Molti furono costretti a sgomberi forzati che ricordavano le “marce della morte”.
Dei 650.000 deportati, circa 45.000 non fecero ritorno; altrettanti morirono dopo il rientro a causa delle conseguenze delle privazioni e delle malattie.
Quasi tutti gli IMI furono rimpatriati entro dicembre 1945: più rapidamente quelli liberati dagli Alleati occidentali, con tempi più lunghi per gli internati controllati dall’esercito sovietico.
Finita la guerra, su questa immane tragedia calò un inesplicabile silenzio.
L’Italia stava ricostruendo la propria identità democratica sulla memoria della Resistenza armata.
I militari internati, testimoni dell’8 settembre e del crollo dell’esercito, faticavano a trovare un posto nel nuovo racconto nazionale.
Su di loro pesava anche la classificazione ambigua attribuita dagli Alleati, che li avevano definiti “ex alleati del nemico”.
Così, per decenni, la loro vicenda rimase ai margini della memoria pubblica.
Non furono riconosciuti come partigiani, né come prigionieri di guerra; la loro scelta di fedeltà alla Patria, senza imbracciare le armi, apparve difficile da valorizzare.
Solo a partire dagli anni Ottanta si avviò un recupero storiografico. Studiosi come Giovanni Contini, Enzo Collotti e Gian Enrico Rusconi contribuirono a restituire dignità a questa esperienza, interpretandola come una “Resistenza senz’armi”, contrastando l’idea riduttiva dei soli “prigionieri”.
Una forma di opposizione civile che contribuì a isolare la Repubblica Sociale e a rafforzare il fronte antifascista.
Parallelamente, vi furono iniziative istituzionali come la medaglia d’onore ai lavoratori forzati, introdotta nel 2006, e il decisivo contributo dei Presidenti della Repubblica nel riportare all’attenzione pubblica e mediatica il valore storico di quella vicenda.
Carlo Azeglio Ciampi sottolineò come il rifiuto degli IMI fosse un atto decisivo per la dignità nazionale e per la nascita dell’Italia repubblicana.
Giorgio Napolitano insistette sull’importanza di includere la loro esperienza nel patrimonio resistenziale.
Sergio Mattarella, in continuità, ha pronunciato parole toccanti sottolineando che non si trattò di un atto di passività, ma di coraggio e fedeltà ai valori di libertà.
Nel gennaio del 2025, ha partecipato all’intitolazione di una biblioteca dedicata a due internati militari: Vittorio Emanuele Giuntella ed Enrico Zampetti, simbolica testimonianza di un’attenzione istituzionale alla memoria degli IMI.
La Giornata del 20 settembre non rappresenta quindi un semplice atto commemorativo, ma un invito a ricomporre la memoria nazionale, dando spazio a chi, con un rifiuto silenzioso e coraggioso, testimonia una forma di Resistenza meno visibile ma non meno significativa.
Ricordare oggi la storia degli internati significa difendere i principi su cui si fonda la Repubblica.
Nei campi di lavoro forzato si giocò una parte della dignità italiana, non meno preziosa di quella conquistata dai partigiani sulle montagne.
La loro memoria lunga, a lungo rimossa, ci ricorda che la libertà e la democrazia nascono anche dai gesti silenziosi di chi seppe resistere senza armi, scegliendo la sofferenza piuttosto che il tradimento dei propri valori.
Questa nuova Giornata della Memoria dedicata agli Internati Militari Italiani è, per la Fondazione Insigniti OMRI, un importante segnale di giustizia e riconoscimento morale verso una pagina troppo a lungo dimenticata della nostra storia repubblicana. Una memoria che rafforza il senso civico, la consapevolezza storica e i valori fondativi della nostra democrazia.”