Open Arms. Avv. Salerni: “Vi è stata una palese violazione della convenzione Sar, evidente il danno all’armatore umanitario”

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AgenPress. Si è tenuta oggi, venerdì 20 settembre,  presso la Casa Circondariale “Pagliarelli” di Palermo la nuova udienza del Processo a carico di Matteo Salvini per il caso Open Arms, in riferimento alla missione 65 della ONG svoltasi ad agosto del 2019. In questa udienza del processo – che vede imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio l’attuale Vicepremier che all’epoca dei fatti era a capo del Viminale e per il quale i PM della Repubblica di Palermo hanno chiesto 6 anni di reclusione oltre alle pene accessorie – si è tenuta la discussione delle parti civili.
«La requisitoria della Procura e la memoria depositata dopo la scorsa udienza del 14 settembre copre la ricostruzione sul piano normativo e sulla dinamica dei fatti a partire dal primo soccorso che è stato fatto nel corso della missione #65 dall’ONG Open Arms dal 2019, non abbiamo molto da aggiungere. In data 1 agosto, con un decreto legge conosciuto come Decreto Sicurezza Bis, il Ministero dell’Interno, in accordo con il ministero dei trasporti e con quello della difesa, vieta l’accesso nel mare territoriale alla Open Arms. In data 13 agosto si aggravano le condizioni del mare, e data la pericolosità della situazione, l’ONG decide di ricorrere al TAR del Lazio: il Tribunale amministrativo sospende in via cautelare il provvedimento preso dal Ministro della difesa. Sospende quindi un decreto che impedisce l’ingresso della nave Open Arms nel mare territoriale.  Open Arms entra nelle acque territoriali, non ci sono dubbi – come ampiamente provato – che in quel momento dovesse essere concesso lo sbarco e il cosiddetto POS (Porto sicuro). Open Arms dalla sua nascita, nel  2015, porta avanti un’attività di soccorso in mare, sappiamo quanto i mari del mediterraneo centrale siano diventati luogo di morte. Fondali pieni di cadaveri di uomini, donne e bambini che tentano di arrivare sulle sponde meridionali europee. Open Arms in questi anni ha salvato decine di migliaia di vite, in quell’occasione per la quale oggi siamo qui, occorsa nell’agosto del 2019, non solo Open Arms non ha ricevuto il sostegno delle istituzioni al Governo, previsto dalla condizioni sar, me è evidente il danno causato all’armatore umanitario. Il danno alle attività che questa persegue con un fare esclusivamente umanitario. Se molti si trovano in vita nei nostri paesi è merito anche di Open Arms» ha detto l’Avvocato di Open Arms Arturo Salerni.
Durante l’udienza, è intervenuta anche l’Avvocata per le parti civili Silvia Calderoni premettendo al suo intervento la difficoltà che gli avvocati delle parti civili hanno incontrato come difensori di naufraghi: «Nella requisitoria della Procura abbiamo sentito dire come bisogna essere privilegiati anche per potersi costituire come parte offesa. Questo per l’accesso alla giustizia che purtroppo essere uno straniero riscontra, nel nostro paese ma anche altrove. I miei assistiti, due persone nigeriane, lavoratori che oggi vivono in Francia dove hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale e dove sono potuti andare senza nessun bisogno di attendere il ricollocamento. Quando li ho raggiunti telefonicamente per chiedere loro la testimonianza hanno rifiutato categoricamente: non avevano alcuna intenzione di venire in Italia, non volevano rivivere quella storia e, soprattutto, non credevano che sarebbero stati ascoltati. Tutto ciò è comprensibile se consideriamo che durante questo processo sono state messe in dubbio le loro condizioni, l’imputato ha parlato di finti malati, finti minori e sono state messe in dubbio anche le loro generalità. Il rischio di risvegliare dei traumi, come detto anche dallo psicologo di Emergency che ha testimoniato, ci ha portato a non insistere per la loro presenza».
Presente in aula anche Nije Musa, giovane ragazzo soccorso il 1 agosto 2019 nel corso della prima ricerca della missione #65 di Open Arms.«Al tempo Mussa aveva 15 anni, viaggiava solo, senza familiari,  su una barca piccolissima di legno, di 12 metri per 2 di larghezza, con 55 persone sopra  – ha detto l’Avvocata Serena Romano – Il motore dell’imbarcazione era in avaria. Questa barca imbarcava acqua, era inclinata sul davanti: come abbiamo avuto modo di vedere nelle udienze precedenti si trattava di una barca a rischio altissimo di ribaltamento sulla quale oltre a Musa viaggiavano 20 minori e 2 neonati. Il ragazzo ha lasciato il paese a 12 anni, è arrivato in Libia con suo zio, che è poi venuto a mancare. La tutrice ci ha detto che le sue condizioni non erano buone: aveva cicatrici in tutto il corpo. È stato ripetutamente colpito con bastoni sulla pianta dei piedi fino a rompergli le ossa. Una volta arrivato, Musa voleva giocare a calcio, ma le fratture fatte nei campi di concentramento libici glielo impedivano. Ha cicatrici sulle mani dovute all’applicazione degli elettrodi, si è trovato in una stanza, a sentire le urla per la tortura sapendo che poi sarebbe toccato a lui. Ha vissuto per 3 anni in Libia in queste condizioni.
Una volta soccorso dall’ONG, Musa ha trascorso 17 giorni a bordo della Open Arms prima di poter sbarcare per decisione del Tribunale dei Minori. 17 giorni che sono stati un inferno, senza possibilità di avere un supporto psicologico, senza poter provvedere a cure mediche o all’igiene personale. Oggi Musa ha terrore del mare: perché ha rischiato di morire. È stato costretto dalle decisioni dell’imputato a restare 17 giorni, ingiustificati, in mare con la paura di essere riportato in Libia. Oltre alle richieste fatte precedentemente, chiedo anche che l’imputato provveda a un risarcimento economico”.
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