Avellino. Nelle chat il piano di Elena e Giovanni: “Quando li uccidiamo?”

AgenPress – Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere Giovanni Limata ed Elena Gioia, i due fidanzati che nella tarda serata di venerdì scorso hanno ucciso il padre di lei, Aldo Gioia. Questa mattina l’udienza di convalida del fermo, che si è tenuta nell’aula gup del tribunale di Avellino. Giovanni Limata che è entrato per primo a colloquio con il gip Paolo Cassano. Il giovane, assistito dall’avvocato Mario Villani è rimasto soltanto pochi minuti, il tempo necessario per formalizzare la scelta di non rispondere, pur avendo reso una piena confessione immediatamente dopo l’arresto. Poi è stata la volta di Elena Gioia, la 18enne che avrebbe pianificato la strage di tutta la famiglia, secondo quanto raccontato dal fidanzato. Era assistita dallo zio avvocato, fratello della madre, Umberto Ferrajolo. Nei prossimi giorni la difesa della giovane, che pure ha confessato il delitto, sara’ assunta dall’avvocato Cerino D’Urso. Per il sostituto procuratore Vincenzo Russo, che coordina le indagini, i due rispondono di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, per Elena con l’aggravante ulteriore dello stretto legame di parentela.

Anche la figlia della vittima si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Per entrambi si è trattato di una scelta “tecnica”, per consentire ai legali, nominati soltanto stamattina di esaminare gli atti in possesso dei magistrati.  Il legale della ragazza e quello del ragazzo – tra ieri sera e questa mattina – hanno infatti rinunciato all’incarico. Il gip ha convalidato gli arresti. I due giovani sono stati riportati in carcere ad Avellino dalla polizia penitenziaria. Nel pomeriggio dovrebbe tenersi l’autopsia sul corpo del 53enne ucciso con 7 coltellate per aver ostacolato la relazione tra i due giovani che negli ultimi mesi si sono scambiati   messaggi di questo tipo, “oppressi” da una famiglia, quella di lei, che non accettava la loro frequentazione.

“Mi manchi, ma quando li uccidiamo?”, scriveva Elena a Giovanni. E poi: “Venerdì potremmo stare un po’ insieme”, “Sì, ma prima dobbiamo ucciderli”.

L’ultimo ostacolo al loro piano era Milli, la cagnetta di casa Gioia. Nella chat che si sono scambiati fino all’ultimo istante prima del brutale omicidio di Aldo Gioia, Elena, la figlia della vittima, e Giovanni Limata, il suo fidanzato, mettevano a punto tutti i dettagli. Lui era preoccupato che il cane, abbaiandolo alla porta, avrebbe fatto saltare il blitz a sorpresa e l’aggressione ad Aldo Gioia che doveva trovare assopito sul divano del salotto. L’abitazione all’ultimo piano di uno storico edificio lungo il centralissimo corso Vittorio Emanuele ha due ingressi. Lui, Giovanni Limata, è passato per la porta che si apre sulla cucina. Tre passi e sei nel salone. Le camere da letto sono in fondo al corridoio, dall’altra parte dell’appartamento.

Elena tranquillizza Giovanni: “Penso io a Milli”, gli dice mentre riempie i quattro zaini (due grandi e due piccoli) con i quali poi, consumati tutti e tre i delitti, i due sarebbero fuggiti.

Giovanni è spavaldo. Dalle conversazioni si comprende che il piano criminale sia suo e che Elena lo abbia accettato.

Ma la ragazza ha avuto un ruolo, se si può, ancora più agghiacciante. Sua è l’idea che non solo il papà sarebbe dovuto morire sotto i colpi del coltello da caccia in possesso di Giovanni.

Lui, fino all’ultimo, le chiede conferma: “Ma anche Emilia, sei sicura?”, e dall’altra parte la risposta glaciale, “Sì, amo, capisci meglio cosa intendo, mia sorella non può rimanere: non rimane nessuno”.

Gli altri dettagli sono noti. Elena scende a buttare la spazzatura. Risale insieme a Giovanni al quale lascia la porta aperta. Prende con sé Milli e se ne va nella sua camera. Giovanni entra in casa. C’è il tempo per un ultimo agghiacciante messaggio: “Sono dentro”. Lei, implacabile: “Vai amo”.

 

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