Coronavirus, Diana e Marco due italiani bloccati in Patagonia

Agenpress. Il ritorno a casa di Silvia Romano dopo diciotto mesi di prigionia ci ha riempiti di gioia. La nostra connazionale che ha vissuto terribili momenti di terrore è ora a casa.

In questo stesso momento, e naturalmente per ragioni completamente diverse e cioè per la pandemia internazionale e il contagio, migliaia di nostri connazionali sono  ancora bloccati all’estero e dai fatidici primi giorni del lock down, non riescono a far ritorno a casa, per i più svariati motivi.

Le storie e le richieste di aiuto e supporti che ci giungono da ogni angolo del mondo sono tantissime e i racconti si susseguono tutti con lo stesso accorato appello alle istituzioni italiane: “Dateci una mano, con ogni mezzo, per  tornare in Italia”.

Diana e Marco, viaggiatori a tempo pieno da sette anni, stanno affrontando la loro quarantena e l’isolamento, bloccati ai confini del mondo, e precisamente a Trelew, nel mezzo della Patagonia Argentina, in un campo sportivo abbandonato, nella morsa dei forti venti invernali. La loro, è una grande prova di resistenza, soprattutto dopo che la speranza del rimpatrio è sfumata, in seguito al divieto di vendita dei biglietti aerei fino a settembre, con il tempo di preavviso dato per l’acquisto dei voli di salvataggio di 48 ore: troppo poco per percorrere le grandi distanze della pampa.

Per loro e per tanti italiani “incastrati” in Argentina, lontano da Buenos Aires in diverse località dell’estremo nord, sono inaccessibili anche i voli umanitari organizzati dal Governo italiano, svolti in collaborazione con gli stati esteri, in quanto, irraggiungibili.

Diana e Marco ci raccontano le loro mille peripezie per raggiungere questi luoghi dall’Alaska e che, con l’inverno rigidissimo ormai alle porte, cercano di dare un senso anche a questa ennesima prova di resilienza.

Il problema più grande per l’impossibilità di tornare in Italia, è dovuto al fatto che Diana e Marco viaggiano sulla loro “casa su ruote”, che da luogo accogliente e indispensabile per viaggiare, ora è divenuta una scomoda zavorra burocratica che non sanno come gestire: prima di volare a casa, infatti, dovrebbero congelare il permesso d’importazione temporaneo del camper, ma non sono in condizione di farlo.

E il loro appello, diventa anche più complicato, per un’esigenza soprattutto pratica, che aumenta il disagio.

“Vi sono situazioni in cui molte persone non possono imbarcarsi per la loro scarsa disponibilità economica, o per non separarsi da un animale domestico (i cani non sono ammessi in questi voli di emergenza), dal proprio compagno (di nazionalità Argentina o di altro Paese), o dal proprio mezzo su ruote, come noi” – dice Marco – “Il nostro camper non è solo un mezzo di trasporto, ma è per noi, la casa dei nostri ultimi due anni, un luogo al quale siamo emotivamente legati.

Per essere in grado di tornare in Italia, dobbiamo prima trovare un luogo dove portare il camper e una persona disposta a divenire responsabile del mezzo in nostra assenza: una persona che firmi una dichiarazione dinanzi a un funzionario doganale perché il mezzo “non si può muovere senza il suo proprietario”.

Fino alla data del nostro rientro in Argentina, il camper sarà vincolato a non muoversi per nessuna ragione, restando, di fatto, nel parcheggio dove è stazionato e in cui verranno posti i sigilli di controllo”.

E’ evidente che,  con le incertezze dovute all’emergenza sanitaria mondiale, Diana e Marco si rendono conto che nessuno vuole farsi carico di un problema del genere, che pone interrogativi sia sulle informazioni delle date di rimpatrio, sia sulla possibilità di poter recuperare un mezzo lasciato così lontano.

“Probabilmente, se dovessimo fare quest’ultima operazione, sappiamo che occorrono almeno due anni per il recupero del camper, e questo, è un problema che ci affligge di più e non ci fa dormire la notte” – continua Marco – “Non possiamo andarcene dal Paese senza aver prima sistemato il veicolo, pena l’infrazione della legge argentina e le sue conseguenze. Non troviamo una soluzione e risposte. Abbiamo chiesto a privati, alla Polizia, alla Dogana, al Consolato…  nessuno pare riesce ad aiutarci. Siamo stanchi e frustrati. Inizialmente pensavamo di non tornare, di aspettare il miglioramento della situazione. Abbiamo cambiato idea lentamente, come lento e graduale, è stato il sopraggiungere del freddo. Sappiamo però che la nostra volontà non conta, che anche volendo tornare, non abbiamo una soluzione concreta a questo problema e che quindi siamo destinati ad aspettare mentre osserviamo silenziosamente i nostri connazionali più, fortunati rimpatriare con i voli, mentre noi “ultimi” con problematiche più grandi, restiamo indietro nell’indifferenza generale. Siamo spaventati dall’idea di scegliere cosa fare, perché sappiamo in cuor nostro che ammettere di voler rientrare significa dover ammettere di non avercela, una scelta.  Supereremo anche questo momento e le innumerevoli avversità che ci hanno forgiato”.

Ketty Carraffa

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