Figlio dell’autista di Moro rivela: “Io e la mia famiglia ci siamo sentiti abbandonati dallo Stato”

AgenPress. Sono passati 43 anni da quel 16 marzo 1978, quando in via Mario Fani a Roma, le Brigate Rosse rapirono il presidente della DC, il grande tessitore del “compromesso storico” con il PCI Aldo Moro, dopo aver sterminato la scorta dello statista democristiano.

Sotto i colpi dei brigatisti caddero: Oreste Leonardi, maresciallo dell’Arma e capo della scorta, Domenico Ricci, autista appuntato dei carabinieri, e i tre agenti di Polizia Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino e Giulio Rivera.

Alla vigilia del 43° anniversario, il drammatico evento storico è stato approfondito a “Crimini e Criminologia” su Cusano Italia TV.

Tra gli altri è intervenuto Giovanni Ricci, il figlio dell’autista di Aldo Moro, Domenico Ricci, ucciso in via Fani dalle BR.

Intervistato da Fabio Camillacci, Giovanni Ricci ha ricordato quella mattina dicendo: “Quel 16 marzo del 1978, era un giovedì, e mio padre non doveva nemmeno essere di servizio, visto che era di riposo. Poi l’altro autista di Aldo Moro, Otello Riccioni, gli chiese la cortesia di sostituirlo per suoi importanti impegni personali.

Apprendemmo la terribile notizia nel modo peggiore. Infatti, verso le 9.30 di quella drammatica mattina ricevemmo la telefonata di una nostra parente che si limitò a chiederci se mio padre fosse in servizio come uomo di scorta di Aldo Moro. Successivamente accendemmo la radio e io e mia madre sentimmo quelle famose e tragiche parole del conduttore del GR1 che annunciava la strage di via Fani e il rapimento di Moro.

Successivamente, alla tv, in un altrettanto famoso servizio del TG2, io riconobbi mio padre morto coperto da un lenzuolo, dal suo orologio”. Il figlio dell’autista di Moro poi ha svelato un retroscena: “Il 15 marzo, il giorno prima della strage di via Fani, l’onorevole Moro si era incontrato con l’allora capo della Polizia Giuseppe Parlato per chiedere un aumento degli uomini della scorta, perché il maresciallo Oreste Leonardi (capo della scorta di Moro), che era un uomo molto scrupoloso e attento, negli ultimi giorni si era accorto insieme a mio padre di alcuni strani movimenti che li avevano spinti a tirare fuori le pistole; tipo strani pedinamenti e altri strani episodi.

Per questo Leonardi aveva richiesto ufficialmente, con tanto di lettera presentata più volte, un’auto blindata per Moro. Richiesta mai accolta e di quella lettera non c’è più traccia. Non a caso l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga, un giorno chiamò mia madre, la portò in via Mario Fani e inginocchiandosi nel punto della strage disse: ‘Li ho uccisi io’.

Forse proprio in riferimento al fatto di non aver accolto le richieste di Moro e Leonardi circa un potenziamento della scorta e un’auto blindata”. Infine, uno sfogo contro lo Stato: “Io e la mia famiglia ci siamo sentiti abbandonati dallo Stato dopo quel 16 marzo 1978. Soltanto l’Arma dei carabinieri c’è stata sempre vicino; per il resto, si sono dimenticati di noi familiari delle vittime.

Soprattutto a livello di sostegno psicologico, di affetto, di solidarietà e di assistenza legale. Quella che ho vissuto io, e che in parte continuo ancora a vivere, è una tragedia che non si può descrivere, perché quando ti uccidono un padre con 7 colpi d’arma da fuoco sparati tra la testa e il collo, non te ne fai mai una ragione”.

 

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