Intervista Esclusiva SprayNews.it al geofisico Fabio Florindo

AgenPress. La spettacolare eruzione dell’Etna avvenuta il 16 febbraio ha ridestato gli interessi e i timori nei confronti dei fenomeni che si generano nelle profondità del nostro pianeta. Spraynews.it ha interpellato il Prof. Fabio Florindo, geofisico con alle spalle sette missioni in Antartide e competenze multidisciplinari che ben riassumono l’approccio olistico dell’Ingv, dove lavora da quando era studente.

Prof. Florindo, Lei ha ricoperto pressoché tutte le cariche possibili all’interno dell’Ingv, da borsista a… presidente.

Ho iniziato a frequentare l’istituto come studente della Sapienza, nel 1991. Ho quindi fatto tutta la gavetta, dalla borsa di studio nelle varie fasce di precariato per poi arrivare ai posti di ricercatore, primo ricercatore, dirigente di ricerca e poi consigliere di amministrazione. Ho fatto qualche anno nell’ufficio della presidenza del Prof. Boschi, che ha ricoperto quel ruolo per quasi trent’anni. E sì, attualmente ricopro anch’io l’incarico di presidente, anche se proprio in questi giorni siamo in attesa di una nomina definitiva da parte del ministro.

Lei conosce alla perfezione la macchina Ingv…

Sì. Spesso noi siamo considerati come l’Istituto di Sismologia. In realtà l’Ingv fin dall’inizio della sua storia si è evoluto in maniera forte e poderosa. Adesso noi abbiamo tre dipartimenti: uno per la parte sismologica e uno per quella vulcanologica, ai quali si aggiunge un grande dipartimento per l’ambiente. Quindi siamo contemporaneamente su tutti questi tavoli e non abbiamo ragione di invidiare nessuno a livello europeo. Forse anche a livello mondiale, tra gli enti di ricerca.

Le nostre attività si estendono fino alle aree polari, con gli studi sul clima del futuro e del passato. Inoltre ci sono gli studi di oceanografia. Abbiamo poi un intero settore che opera prospezioni geofisiche del sottosuolo per trovare gli inquinanti, per esempio i fusti contenenti sostanze pericolose immessi illegalmente all’interno delle discariche (in questo collaboriamo con le forze dell’ordine). Altri gruppi di lavoro studiano la trasmissione delle onde radio e la ionosfera partendo dalle ricerche di Guglielmo Marconi, che tra le altre cose è stato il fondatore dell’Ingv. Anche questo è un ambito di ricerca nevralgico, le dinamiche della ionosfera possono infatti falsare o disturbare i segnali Gps, con conseguenze sul traffico aereo, solo per citare un esempio (non a caso ci avvaliamo in questo campo della collaborazione dell’Aeronautica militare).

Un punto fondamentale che l’Istituto deve continuare a perseguire è la comunicazione. Abbiamo ben visto ai tempi della crisi sismica dell’Aquila, a cosa si va incontro quando non c’è una giusta comunicazione. È importante comunicare bene al pubblico, alla popolazione e ai colleghi cosa facciamo e perché lo facciamo. Con le parole più semplici possibili. Su questo siamo puntando moltissimo. Per esempio, nel corso dell’evento dell’Etna del 16 febbraio, oltre all’ufficio stampa i colleghi delle sale di monitoraggio hanno aggiornato in tempo reale i siti, inviando le comunicazioni alla Protezione Civile. Questo anche per contrastare le fake news: c’è sicuramente chi vede l’Etna eruttare e si chiede se ci sia un legame con un sisma verificatosi altrove, per esempio in Grecia…

Abbiamo visto tutti l’attività parossistica dell’Etna: già l’aria di questi tempi è parecchio inquieta, ora ci si mette anche la terra? Quanti “osservati speciali” avete?

Disponiamo di una rete sismica densissima, teniamo sotto controllo ogni angolo della penisola e anche il resto dell’area mediterranea. Per quanto riguarda i vulcani, ovviamente anche il Vesuvio o per la precisione il settore dei Campi Flegrei è monitorato attraverso lo storico osservatorio vesuviano a Napoli, vera e propria sala operativa di questo centro vulcanico come l’osservatorio di Catania lo è per l’Etna. Questo vale anche per le Eolie: abbiamo il controllo in tempo reale anche sullo Stromboli, spesso inquieto.

Di tutti questi centri vulcanici noi abbiamo un servizio di monitoraggio veramente all’avanguardia: dai dati geochimici, Gps, gravimetrici, magnetici, sismici otteniamo un controllo totale dei fenomeni, circostanza che ci rende in grado di allertare in caso di emergenza. Peraltro chiunque può andare sui nostri siti web, per esempio quello della sede di Catania, e osservare in tempo reale quello che sta accadendo, scaricando i dati che riguardano l’Etna, le sue variazioni di temperatura e altro ancora… Teniamo parecchio alla massima trasparenza.

Fate invidia agli stessi giapponesi?

Per quanto riguarda la ricerca di base nei settori della sismologia e della vulcanologia, possiamo dire che non siamo da meno. Loro per quella che è la mia esperienza sono molto all’avanguardia nel campo delle abitazioni e delle tecniche costruttive. Come negli Stati Uniti, dove assistiamo a terremoti di una magnitudo estremamente alta che fanno oscillare come canne le costruzioni, che però non crollano. Su questo noi dobbiamo ancora fare dei passi avanti.

Con gli altri istituti europei non siamo in competizione, bensi collaboriamo traendone reciproco beneficio. A volte avvengono anche degli scambi di personale, ci sono tanti giovani ricercatori che vengono qui da noi, eccetto in questa fase di pandemia. Disponiamo infatti di laboratori che simulano per esempio la rottura delle rocce durante i terremoti: la macchina che rende ciò possibile è stata realizzata con finanziamenti europei e grazie allo scambio di informazioni con ricercatori giapponesi. Simili strumentazioni e laboratori di punta attirano le eccellenze dall’Europa, oltre a trattenere qui quelle che già si trovano in Italia… È una circostanza da cui tutti traggono vantaggio, perché con questi cervelli provenienti da lontano si scambiano opinioni, ricerche e si scrivono articoli insieme.

A proposito di finanziamenti, c’è qualcosa da lamentare?

Riceviamo un buon finanziamento – la cifra si aggira intorno ai 65 milioni all’anno – dal Foe, il Fondo ordinario ministeriale per gli enti e le istituzioni di ricerca. Abbiamo inoltre un finanziamento dalla Protezione Civile: facciamo infatti parte del sistema di Protezione Civile per quel che riguarda la sorveglianza sismica. Fortunatamente poi i gruppi di ricerca del nostro ente attirano anche finanziamenti esterni, sia dall’Europa sia da altre fonti. Ricordiamoci che l’Ingv è un ente che supera le mille unità di personale, con sedi sparse in tutta Italia.

... e importanti basi in Antartide.

Io in Antartide ci sono stato sette volte. In Italia c’è il Pnra – Programma nazionale per le ricerche in Antartide, che ogni anno effettua delle call di finanziamento. A seconda del tipo di progetto, ho svolto diverse attività, anche come coordinatore internazionale presso la base americana, nel mare di Ross. Oppure addirittura in tenda (a -20°), in una zona di quelle che sono note come Valli Secche/Dry Valleys. Anche noi italiani abbiamo comunque delle basi in Antartide: una è italo-francese e si trova in una zona chiamata Dome Concordia, un’altra è situata nell’area di Terranova ed è la base dedicata a Mario Zucchelli, un ingegnere dell’Enea che è stato un po’ il papà delle nostre missioni in Antartide, di cui gestiva tutta la logistica. Siamo molto attivi, ogni anno nostri ricercatori raggiungono l’Antartide con progetti di varia natura, dall’astronomia al clima alla glaciologia e ulteriori settori di ricerca.

L’Antartide si sta sciogliendo?

Alcuni settori risentono del riscaldamento globale, in particolare alcune aree del settore occidentale (penisola antartica). Il settore orientale è abbastanza stabile, per ora.

Tra i vostri centri figura quello di monitoraggio delle attività di sottosuolo. Cosa pensa per esempio dell’iniezione di fluidi nel sottosuolo? Aumenta il rischio di terremoti?

Questo ambito si colloca al limite della mia esperienza; ci sono molte discussioni e polemiche su questo tema. Le posso dire comunque che per quanto riguarda i terremoti si tratta di eventi che avvengono a profondità maggiori di quelle che possono essere raggiunte reimmettendo nella superficie gas o acque di scarto legate alle attività antropiche. Esistono tuttavia faglie che arrivano fino alla superficie, e in questi casi si è visto che talora si possono innescare delle attività sismiche quando si iniettano dei fluidi, che agiscono da lubrificante sulle superfici di faglia. Sono temi che meritano un’attenzione particolare, sia da parte di chi studia l’estrazione degli idrocarburi sia dei sismologi e che necessitano dell’interazione tra diversi gruppi di ricerca, da chi si occupa di geotermia a chi fa lo stoccaggio di gas naturali o “sequestrazione di anidride carbonica”.

Oggi come oggi sappiamo di più su cosa succede nel mantello terrestre, centinaia di chilometri sotto i nostri piedi? C’è più ribollire del solito?

Non ci troviamo in un periodo diverso da quello che è stato qualche anno fa o – immagino – quello che sarà in futuro. Il nostro è un pianeta attivo, con un nucleo esterno per così dire “fluido” e ricco di ferro e nichel che permette di generare il campo magnetico che ci protegge dalle radiazioni esterne. Diversamente, potremmo tornare in un attimo a come è Marte oggi. Marte ha infatti avuto un campo magnetico che lo proteggeva dalle radiazioni solari; quando il suo nucleo si è solidificato ha determinato la fine del campo magnetico col quale è anche scomparso lo schermo. Con la conseguenza che la radiazione, il “vento solare” ha spazzato via quel poco di atmosfera che c’era. Noi siamo protetti grazie alla dinamica interna del nostra pianeta. Ovvero dalla stessa dinamica che porta anche al movimento delle placche tettoniche… se ci sono i terremoti e se ci sono i vulcani è proprio perché siamo un pianeta vivo. E proprio grazie a questo noi viviamo, altrimenti verremmo bruciati dalle radiazioni ultraviolette provenienti dalla nostra stella, il Sole.

Il ritmo dell’espansione dei fondali marini è costante o sta aumentando?

Dipende. Nei fondali oceanici l’espansione avviene lungo le dorsali, come per esempio quella medio atlantica, che non è un’unica placca, bensì varie placche che vanno a velocità diverse. Ma chiaramente è una variazione nell’ordine di pochi centimetri l’anno per quelle veloci, quindi noi quasi neanche ce ne accorgiamo. Vero è che queste dinamiche sono in continua evoluzione, quindi a volte nel corso del tempo possono accelerare e le zone di espansione possono andare a finire in quella che si chiama subduzione, con il conseguente arresto dell’espansione che porta gli oceani a richiudersi. Ma per vedere simili variazioni dobbiamo andare sulla scala dei milioni di anni. Noi siamo come una farfalla che si posa sulla sequoia: chiaramente la sequoia cresce, si ingrandisce, muore anche lei ma per la farfalla non succede niente, l’albero è fermo. Quindi nelle dorsali oceaniche, come anche lungo l’area del Pacifico dove più che espansione c’è litosfera che subduce, sotto il Giappone o in Alaska più o meno si mantiene la velocità consueta di spostamento. Oltretutto oggi riusciamo a quantificare in maniera inaudita grazie a satelliti e sistemi Gps i movimenti della crosta terrestre in ogni angolo del pianeta, sia in termini di direzione sia di verso, sia ancora di velocità di spostamento.

Quindi è esagerato proclamare con enfasi che “l’Africa sta schiacciando l’Europa”?

La direzione è quella, lo si vede inequivocabilmente dai dati satellitari: ma siamo sempre nell’ordine dei milioni di anni. C’è effettivamente la spinta della placca africana che si muove verso nord, la penisola italiana andrà a stringersi e a spostarsi verso est, tenderà a scomparire l’Adriatico, questo lo si vede dai vettori di spostamento. Infine sotto la spinta dell’Africa sparirà anche il Mediterraneo, però tutto questo non lo vedremo né noi né i figli dei nostri figli…

È proprio in conseguenza di questa spinta che si verificano eventi sismici e vulcanici in particolare in Italia; si tratta di un sistema complesso, ma indubbiamente collegato.

Siete anche attivi nel monitoraggio degli tsunami…

Anche questo avviene nella nostra sala sismica per il monitoraggio dell’area mediterranea, che dal 2013 ha appunto sviluppato un settore per il monitoraggio degli tsunami. Fa parte del network internazionale NEAMTWS e rientra anche questo nei compiti assunti insieme alla Protezione Civile. La sala sismica dispone di turnisti per un monitoraggio h24. Inoltre, da qualche anno è stato attivato il cosiddetto Cat – Centro Allerta Tsunami, pure esso dotato di un operatore che controlla eventuali alert. Sulla base del tipo di evento sismico, della zona dove avviene, della geologia dell’area e della morfologia del fondale si approntano scenari di possibili eventi di tsunami, e da lì parte l’allerta.

Lei vede un futuro in cui un terremoto o un’eruzione potranno essere previsti?

Per quanto riguarda i terremoti le posso dire che ci sono nel mondo molti studi e gruppi di ricerca che indagano sull’esistenza o meno di un segnale che li possa far prevedere. Tuttavia a oggi mi sento di dire che è una cosa non fattibile, con le conoscenze attuali. Nel senso che i terremoti possono avvenire in diverse zone del mondo con una geologia diversa, a profondità diverse, innescati da movimenti di placca o intraplacca magari completamente diversi tra loro. Quindi, si può ricavare un modello funzionante per un terremoto in Grecia, però poi ci si accorge che “dietro l’angolo”, in condizioni che sembrano simili, già non funziona più.

La stessa faglia di Sant’Andrea, una delle faglie più studiate al mondo, in California, è oggetto di una rete di monitoraggio e sorveglianza di ogni tipo, proprio per cercare di capire quale possa essere il segnale che può fare anticipare un’evacuazione. Nonostante questo, siamo ancora lontani…

In ogni caso, come spesso si dice non è il terremoto che uccide, sono le costruzioni a uccidere. Ecco, io punterei molto di più su uno sviluppo sempre più avanzato di costruzioni in grado di affrontare gli eventi sismici. Avvalendosi di quello strumento straordinario che è la Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale, sviluppata dal nostro istituto a partire dal 2004.

Discorso diverso per quanto riguarda i vulcani, perché l’attività vulcanica presenta quasi sempre segnali geochimici, di composizione dei gas che fuoriescono dal sottosuolo, deformazioni rilevabili dal Gps, variazioni nei campi magnetico e di gravità oppure ancora tremori in concomitanza con l’attivazione della camera magmatica e la risalita del magma. Quindi, in vulcanologia esistono segni precursori in grado di allertare, poi però tutto dipende naturalmente da quanto rapido è l’evento.

(intervista raccolta da Alberto Gerosa)

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