AgenPress – “Non vogliamo tornare sulla pericolosità della Ru486 ma sulla necessità di un articolato e attento sistema di monitoraggio, sicure che il ministro della Salute Roberto Speranza sia sensibile alla tutela della salute femminile. La sorveglianza sanitaria con la pillola abortiva viene messa a dura prova per le intrinseche caratteristiche del metodo”.
Lo scrive oggi Avvenire in un’analisi dal titolo “Consultori e donne, la legge parla chiaro”, il quotidiano dei vescovi Avvenire sottolinea oggi che “continua a suscitare perplessità la decisione ministeriale di coinvolgere i consultori familiari nella pratica abortiva. La rete consultoriale nasce con la finalità esattamente opposta: fornire un’alternativa alle donne che pensano di trovarsi costrette dalle circostanze più varie a spegnere in grembo la vita del proprio bimbo”.
Secondo Avvenire, la legge 405 del 1975, che ha istituito i consultori, “fin dall’articolo 1, dice che tra gli scopi di queste strutture c’è la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento”. Il giornale della Cei sostiene che in tutti gli 8 articoli di cui si compone il testo, l’interruzione di gravidanza non è mai prevista: si parla solo di contraccezione.
“Attenzione in tutti gli 8 articoli di cui si compone il testo l’interruzione di gravidanza non è mai prevista: si parla solo di contraccezione”. “È vero – continua -: la prima legge che ha consentito, in un numero di casi (almeno formalmente) ristretto, l’interruzione volontaria della gravidanza è la 194 del 1978, varata dunque 3 anni dopo quella che ha istituito i consultori. Ma è altrettanto innegabile come anche questa seconda norma non abbia inteso chiedere la collaborazione di queste strutture per la soppressione del bimbo nel ventre della gestante. Anzi”. “I consultori familiari – si legge all’articolo 2 – assistono la donna in stato di gravidanza (…) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”.
“Proprio per raggiungere questo fine – spiega ancora Avvenire – la norma dispone che le stesse strutture ‘possono avvalersi (…) della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita’”.
“L’obiettivo pratico sembra ben chiaro – aggiunge -: dal momento che le risorse economiche, anche allora, non bastavano a rimuovere i problemi in cui versavano e versano le gestanti, si dava e si dà la possibilità che i consultori si avvalgano della grande rete del volontariato, come quello grande e generoso che anima i Centri di aiuto alla vita”.
Il rischio del metodo chimico è psicologico e sanitario. È facile illudersi che l’aborto con la pillola sia assai più facile e meno doloroso: cosa vuoi che sia una pillola, si inghiotte e via, tutto finisce lì. Soprattutto, ci si illude di poter tranquillamente tornare a casa, e di non dover giustificare la propria assenza col datore di lavoro o in famiglia, mantenendo tutta la faccenda nel privato. Ma è proprio questo il problema: l’aborto scompare dalla scena sanitaria, e non avremo mai informazioni attendibili su quello che avviene tra le mura domestiche.
“A fugare ogni dubbio circa le finalità di queste strutture – scrive ancora il quotidiano cattolico -, l’articolo 5 della stessa legge 194/78 dispone che esse, quando si trovano innanzi una donna che chiede l’interruzione volontaria della gravidanza, ‘hanno il compito in ogni caso (…) di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta (…) di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione di gravidanza’”.
Allo stesso modo, “qualora la donna si rivolgesse al proprio medico, questo dovrebbe informarla “sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie”.
“E quand’anche tutto ciò fallisse, non restando altro se non la soppressione del feto”, conclude Avvenire, “la legge vietava e vieta al consultorio di fare da sé: l’aborto, infatti, può essere effettuato solo da una (diversa) struttura autorizzata. Alterare questa disciplina con una semplice circolare – come fanno le nuove linee guida del Ministero della Salute che disciplinano il ricorso alla pillola abortiva -, e non attraverso una modifica parlamentare della legge vigente, darebbe vita a una violazione della Costituzione”.