L’appello del fondatore di InTerris e sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII: “Mai quanto oggi il dialogo è invocato senza essere praticato. Davanti a noi giornate fondamentali per far ripartire la scuola in sicurezza, non vanificarle in sterili contrapposizioni”
AgenPress. A parole il dialogo è la strada più sbandierata, in concreto è quella meno percorsa. La diabolica tendenza a chiudersi e limitare agli “amici” il confronto risale alle prime pagine delle Sacre Scritture. Fin dall’origine della civiltà, si cade nel tragico errore di escludere persone e ambienti dalla legittima mediazione di interessi materiali e spirituali. L’alleanza tra Dio e l’uomo poggia sul Logos. La Parola è il senso stesso della vita. E’ impossibile concepire un contesto nel quale si possa costruttivamente e pacificamente convivere senza comunicare valori e proposte culturali. I patriarchi biblici e i padri della Chiesa sono costitutivamente uomini del negoziato.
L’ontologica differenza tra il brutale despota e il dialogante costruttore di ponti è che il primo confida solo nella violenza dell’imposizione, mentre il secondo non ha dubbi sulla validità delle proprie convinzioni e quindi vuole persuadere invece di costringere. Gesù non riceve in lussuosi palazzi, non ha milizie di pretoriani, predica per strada senza mai anteporre l’invettiva all’annuncio. Il suo modus operandi è quello del padre di famiglia che testimonia ai figli con la propria condotta la bontà di ciò che insegna. Ci sono stati, in 2000 anni di cristianesimo, fulgidi modelli di santità che a malapena sapevano leggere e scrivere, eppure infondevano il fuoco del Verbo in masse infiammate dalla loro capacità di rendere visibile l’Invisibile.
In Italia abbiamo figure luminosissime di artigiani della coabitazione morale e ideale come il sindaco in odore di santità, Giorgio La Pira e don Primo Mazzolari, “la tromba dello Spirito Santo in Val Padana”, come lo definì San Giovanni XXIII. Negoziare non significa mai scendere a compromessi per chi è saldo nella responsabilità verso il bene comune e la Verità. E’ durato poco il grottesco tentativo di armare la falsa memoria di Karol Wojtyla contro il pontificato della misericordia di Francesco. Si sa che le bugie hanno le gambe corte e così, dalle eroiche e pionieristiche esperienze pastorali del futuro San Giovanni Paolo II, è uscito un paradigma universalmente valido di impegno e virtuoso pragmatismo. Correva l’anno 1962. L’arcidiocesi simbolicamente più importante della Polonia si dibatteva tra i continui rifiuti dell’autorità politica alle terne di candidati proposte dalla Chiesa per la cattedra di Cracovia.
Poche settimane prima della sua nomina, Wojtyla implorava per lettera la preghiera di padre Pio. Tutto sembrava bloccato in una palude di ostilità e burocrazia. All’improvviso un capo del partito comunista polacco si ricordò che quel giovane vescovo ausiliare aveva abilmente concordato con lui la destinazione d’uso del seminario diocesano. Così accordò il nulla osta del regime alla designazione di colui che un giorno sarebbe divenuto Pontefice, etimologicamente “edificatore di ponti”. Insomma, dialogare è il modo più efficace per abbattere muri, fermare eserciti, disarmare prepotenti. L’uomo più influente della sua epoca, Napoleone Bonaparte, era talmente atterrito da una frase del cantico più semplice e alto dell’intera Bibbia da vietarne la recita nelle chiese: il Magnificat pronunciato da Maria (“ha rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili”). Il “sistema Napoleone” ha fatto scuola nella storia e in tanti hanno inutilmente cercato di cancellare Dio dal cuore degli uomini e di confinare la fede alla sfera privata.
Mai quanto oggi il dialogo è invocato senza essere praticato. I social si prestano ad amplificare i monologhi e chi cerca il confronto viene schedato come “buonista” o debole. Il diavolo (cioè, letteralmente, il divisore) sembra aver scalzato il dialogo. E ciò persino su temi che dovrebbero vedere la convergenza di intenzioni e risorse come la lotta al Covid, la formazione dei giovani e l’uscita dal tunnel collettivo della depressione economica e sociale. Partire da ciò che unisce piuttosto che da ciò che divide è una “best practice” poco seguita in ambito sia civile che religioso, malgrado tutte le altre possibilità abbiano mostrato esiti disastrosi. Abbiamo davanti a noi giornate fondamentali per far ripartire la scuola in sicurezza.
Sarebbe un’autentica e inaccettabile aberrazione sprecarle in sterili contrapposizioni, illogici negazionismi, ideologiche battaglie di retroguardia che allontanano l’Italia dai Paesi che la aspettano al varco dopo il faticoso accordo sul Recovery fund. Il mio accorato auspicio è che, mettendo da parte certe convenienze di bottega e miopi preclusioni, si ponga rimedio alla gravissima crisi educativa della quale in sei mesi di pandemia pochi sembrano aver preso coscienza. Non basta aprire il portone di un istituto, se chi siede sui banchi non è aiutato anche psicologicamente ad analizzare ed elaborare ciò che sta accadendo nel mondo. A stravolgere un’esistenza basta un istante, a ricostruirla servono decenni.