AgenPress – Il governo italiano avrebbe dovuto consultare la Bce prima di varare il piano del Cashback, ma la sua introduzione, pur potendo avere finalità positive per la lotta all’evasione, appare “sproporzionata alla luce del potenziale effetto negativo che tale meccanismo potrebbe avere sul sistema di pagamento in contanti e in quanto compromette l’obiettivo di un approccio neutrale nei confronti dei vari mezzi di pagamento disponibili”.
A scriverlo, in una lettera inviata al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, è la Bce in una lettera dello scorso 14 dicembre firmata dal vicepresidente del consiglio di sorveglianza, Yves Mersch.
La lettera, inviata per copia anche al governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, è particolarmente dettagliata. Ricostruisce nel dettaglio lo schema del Cashback e spiega che il ministero dell’Economia ha inviato il meccanismo alla Bce il 24 novembre scorso. Fa anche un’attenta disamina della normativa europea spiega poi che “l’accetazione dei pagamenti in contanti debba costituire la norma, ma riconosce che il contate possa essere rifiutati per motivi connessi al principio di buona fede, se ciò non rappresenta una violazione del corso legale del contante”. Ma le conclusioni sono chiare. “La Bce ritiene che l’introduzione di un programma cashback per strumenti di pagamento elettronici sia sproporzionata alla luce del potenziale effetto negativo che tale meccanismo potrebbe avere sul sistema di pagamento in contanti e in quanto compromette l’obiettivo di un approccio neutrale nei confronti dei vari mezzi di pagamento disponibili”.
Inoltre “le autorità nazionali sono tenute a consultare la Bce su progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, comprese, in particolare, quelle relative a mezzi di pagamento”. Per questo “la Bce apprezzerebbe che le autorità italiane tenessero in debita considerazione i rilievi che precedono adempiendo in futuro al proprio obbligo di consultare la Bce, se del caso”. Certo la Bce “riconosce che incentivare le transazioni per mezzo di strumenti di pagamento elettronici per l’acquisto di beni e servizi allo scopo di combattere l’evasione fiscale può, in linea generale, costituire un «interesse pubblico» che giustifichi la disincentivazione e la conseguente limitazione dell’uso dei pagamenti in contanti”. Tuttavia “sarebbe necessario dimostrare che le limitazioni che incidono sul corso legale delle banconote in euro siano efficaci per conseguire le finalità pubbliche che legittimamente si intende raggiungere attraverso tali limitazioni. Dovrebbe quindi sussistere una chiara prova che il meccanismo di cashback consenta, di fatto, di conseguire la finalità pubblica della lotta all’evasione fiscale”. Viene quindi ricordato che ” la possibilità di pagare in contanti rimane particolarmente importante per taluni gruppi sociali che, per varie legittime ragioni, preferiscono utilizzare il contante piuttosto che altri strumenti di pagamento” e che ” i pagamenti in contanti agevolano l’inclusione dell’intera popolazione nell’economia consentendo a qualsiasi soggetto di regolare in contanti qualsiasi tipo di operazione finanziaria”.